Sorride Mr. Rain, non vedeva l'ora che il suo nuovo album Il Pianeta di Miller vedesse la luce. Esce il 1 marzo per Warner Music e contiene 11 tracce interamente prodotte da lui, in un contenitore dichiaratamente ispirato al film Interstellar, c'è anche la voce del doppiatore del protagonista. Al suo interno “Supereroi”, il brano che, 5 volte disco di platino, in un anno gli ha stravolto la vita, e “Due Altalene” con cui si è presentato all’ultimo Festival di Sanremo. C’è dentro tanto di lui, che continua a raccontarsi senza filtri perché è il modo più efficace per arrivare alle persone. Gli interessa lanciare messaggi, gli interessa mostrare un piccolo raggio di luce, quando la vita sembra solo buio. Ci è passato, sa cosa vuol dire non stare bene, ma sa anche che affrontando le proprie paure e i propri mostri se ne può uscire. Lo dice nella prima traccia “Paura del buio”, dove parla al sé bambino, lo dice nell’ultima “Sempre un po’ di te”, dove di nuovo guarda al suo passato, con gli occhi di chi oggi ce l’ha fatta a realizzare il suo sogno, liberandosi. Lo aspetta a novembre il suo primo tour nei palazzetti: «Sto preparando la band, voglio che sia un concerto suonato, creando qualcosa di unico», lo aspetta un disco in spagnolo, mentre “Superhéroes” ha preso vita oltre confine. Lo incontriamo nella sua casa discografica in una lunga giornata di promo.

Perché citi Insterstellar?

«È uno dei miei film preferiti in assoluto, sia per la colonna sonora, sono un grande fan di Hans Zimmer, sia per la tematica. Lo riguardo ogni anno, anche più volte. L’ho rivisto anche un mese fa, stavo andando in Spagna, avevo tre ore di volo… e quindi perché no? Il Pianeta di Miller è proprio coerente con quello che sono io, è un pianeta fatto di acqua. Io, Mr. Rain, scrivo quando piove… era proprio perfetto e mi sento come Cooper, il protagonista. Spesso sento di andare a una velocità diversa rispetto al resto del mondo».

Più lentamente?

«È quello a cui aspiro. Fino a poco tempo fa non riuscivo a fermarmi, a godermi i momenti, a dare il giusto tempo e valore alle cose. Gli ultimi quattro anni sono volati e allora mi sono fatto una domanda, quando avrò cent’anni e riguarderò il film della mia vita, sarò contento di essermi goduto ogni istante? È una grande sfida, ma vorrei imparare a rallentare il tempo».

Di traguardi ne hai raggiunti un po’…

«Sì, ma senza festeggiamenti, senza fermarmi. Sono anni che non vado in vacanza, lo farò quest’anno per la prima volta. A maggio vado un mese in Brasile con la mia fidanzata, poi farò un weekend a Budapest con mia mamma e le mie sorelle… Voglio imparare a dedicare tempo a me stesso».

Dall’ultimo Festival come torni?

«Mi ha insegnato tantissime cose, la grande difficoltà questa volta era gestire le emozioni che mi provocava la canzone. Spesso scendevo dal palco in lacrime perché non riuscivo a trattenere la tensione che mi portavo sulle spalle. Sono tornato al Festival senza pensare alla classifica, come l’anno scorso. Il terzo posto? Sono capitato lì, ma non mi interessava, volevo portare il mio messaggio, dare il mio contributo toccando il cuore della gente. Sentirmi ringraziare da chi ha contribuito alla scrittura di questo brano, con le loro storie, è stata la cosa più bella del mondo».

A Sanremo c’era anche il tuo amico Sangiovanni, con te nel disco in “La fine del mondo “. Il suo stop ha portato all’attenzione dei media il tema della fragilità di voi artisti, di come i tempi dell’industria discografica possano influire sulla salute mentale.

«Quest’industria è un po’ tossica. In Sangiovanni ho scoperto un grandissimo amico, una persona simile a me, anche se è più piccolo. Lo sto sentendo e quello che sta vivendo lui l’ho vissuto anche io. Prima di “Fiori di Chernobyl mi ero allontanato dalla musica, non riuscivo più a scrivere, perché non stavo bene con me stesso. Ha fatto bene a fermarsi. Chi lavora in questo ambiente è sottoposto a pressioni, per vendere, per non sparire. Esserci sempre. Questo nuoce a te come persona e nuoce alla musica».

Sono i tempi il problema?

«Se fai un disco ogni sei minuti come fai a trovare la creatività e lo stimolo per scrivere un altro disco? È anche per questo che ho chiamato il disco con un concetto legato al tempo. Io d’ora in poi voglio prendermi il tempo giusto anche per la musica, per scrivere un album. Non voglio più rispettare scadenze fisse».

Queste pressioni sono esterne o l’artista le introietta?

«Entrambe le cose. Io per primo sono stato schiavo di questi meccanismi e mi sono fatto influenzare. Siamo esseri umani, ci finiamo dentro».

L’età influisce?

«Secondo me non tanto. Sono contento che Sangiovanni se ne sia accorto così presto perché è giovane, ha iniziato pochi anni fa ed è giusto che si sia preso il suo tempo per dedicarsi a se stesso, come persona. Io per lui ci sono sempre. Sa che può chiamarmi, chiedermi di andare in Vietnam, a New York domani».

In “Paura del buio” prepari il te bambino proprio alle difficoltà che si troverà di fronte.

«A volte quando perdi la retta via te ne accorgi tardi. In quella canzone confido a un piccolo me che soffrirò un sacco, che vedrà tutto crollare, ma alla fine non avrò più paura del buio. Sono andato al tappeto davvero tante volte».

E come ti sei rialzato?

«Ogni cosa serve per crescere, bisogna sempre cercare di cogliere l’unico raggio di sole nel completo buio per cercare di migliorarci, per cercare di avere più consapevolezza e padronanza di noi stessi».

Ora volerai in Spagna?

«Sta succedendo qualcosa di incredibile è come se stessi guardando un film già visto. La versione di "Superereoi" in spagnolo mi ha aperto le porte anche lì, sto studiando la lingua, sto facendo un disco solo in spagnolo. Sarò sempre grato a quella canzone».

Una curiosità… Scrivi ancora solo quando piove?

«Assolutamente sì. Non mi credono, ma io non mento. Ci provo quando c’è il sole, ma le cose che pubblico alla fine sono sempre quelle che ho scritto nei giorni di pioggia. A giugno dell’anno scorso siamo andati in uno studio in Toscana a scrivere qualche traccia dell’album. Pioveva una volta al giorno, per poche ore. Succedeva quando uscivo per scrivere, rientravo e smetteva. Credevo fosse il Truman Show, incredibile!».