«A volte è difficile capire se si sta cadendo o volando», dice Jorja Smith su Zoom. È questo il mistero che ha parzialmente ispirato il suo ultimo album.

Negli ultimi cinque anni, Smith ha intrapreso un viaggio in volo per sfuggire alle sue paure più intime ed è abbastanza coraggiosa da ammettere che sta ancora cercando di capirlo. Ciò che tiene a galla la cantante e cantautrice britannica è la musica.

Da quando si è trasferita a Londra dalla sua città natale, Walsall, nel 2015, ha pubblicato una canzone diventata virale ("Blue Lights"), ha collaborato con star come Drake e Kendrick Lamar e ha fatto il suo ingresso da superstar con il suo album di debutto Lost & Found del 2018, che le ha permesso di ottenere una nomination ai Grammy come miglior artista esordiente. Ma Jorja Smith non ha mai voluto essere famosa. Voleva solo fare musica che la rendesse completa.

Ora, a 26 anni, afferma che sta ancora imparando a gestire la pressione della fama. Per far fronte a questa tensione, è tornata a Walsall e ha iniziato a lavorare al suo secondo album Falling or Flying come passo fondamentale per scoprire di più su se stessa e onorare la comunità che la sostiene.

L'album, pubblicato il 29 settembre (con tre singoli rilasciati già a giugno), è una raccolta di 16 tracce rilassante come una playlist di meditazione, ma esuberante come un giro sulle montagne russe per la prima volta. La radice del tono soul di Smith risiede nella sua onestà.

Mentre l'effervescente mix da club "Little Things" usa la pista da ballo come un'evasione verso la beatitudine romantica, canzoni come "Broken Is the Man" e "Backwards" si rivelano un'intima introspezione ("Causе it hurts me if I hurt you / So I hurt you, so you hate me / But you won't lеave, I can't get out", canta in quest'ultima).

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Come sono stati gli ultimi cinque anni? Che cosa hai imparato?

«Sono stata in tournée, poi mi sono chiusa in me stessa, ho iniziato a scrivere l'album, quindi ho imparato a stabilire dei limiti e a capire cosa mi piace davvero. Sicuramente non sono più una persona che vuole piacere agli altri. Una volta lo ero, ma credo che questo sia dovuto all'età».

Come si fa a smettere di ricercare sempre l'approvazione degli altri, soprattutto nel tuo lavoro?

«Credo che la risposta sia: crescendo e rendendosi conto di quando le cose non vanno bene, per se stessi. Se qualcosa non mi piace, allora ho tutto il diritto di cambiare il corso del progetto o di apportare delle modifiche, perché nessun altro deve mettersi tra me e la mia musica, soprattutto il bisogno di soddisfare il mercato».

Come descriveresti la Jorja di cinque anni fa, quando è uscito Lost & Found, rispetto alla persona che sei ora?

«Stavo uscendo dall'adolescenza. Probabilmente allora ero più sicura di me. Non mi importava così tanto degli altri. Ora, probabilmente, mi preoccupo di più delle cose. Credo di avvertire molto di più la pressione. Prima non mi succedeva. Non è che avverta la pressione sul lavoro, sulla mia musica, ma più per quello che la gente pensa di me e cose del genere. Sto cercando di tornare ad essere così, senza pensieri».

Hai detto che eri più sicura di te all'epoca. Quindi ora non sei più così a tuo agio con te stessa?

«Con la mia musica mi sento confident, ma probabilmente allora ero più a mio agio con me stessa. Penso che sia solo a causa del tempo sotto i riflettori, sono stata un po' troppo attenzionata. Le opinioni e le critiche della gente possono colpirti, ora sto cercando di non farmi toccare più. Credo che tutti passino attraverso questi momenti nella loro carriera».

Hai sempre voluto essere famosa?

«No, non ho mai ricercato la fama. Nel mio annuario quando ero al liceo ero la candidata, secondo i voti dei miei compagni, a diventare qualcuno ma solo perché ero molto sicura di me nel fare musica, ma non mi piaceva l'attenzione e non la ricercavo. Il controsenso è che mi piace esibirmi. Mi piace stare davanti a un microfono, su un palco o anche in uno studio, ma tutto il resto che ne deriva, no grazie».

Per giocare col titolo dell'album, Falling or Flying, puoi descrivere un momento in cui ti sei sentita come se stessi cadendo o volando, durante la produzione del disco?

«Probabilmente di recente. Sto ancora cercando di non cadere. È pazzesco, perché credo di essere caduta anche durante la creazione dell'album, e oggi cerco di frenare la picchiata. Penso che quando ho iniziato a pubblicare la musica sia stato il momento più delicato, probabilmente è lì che ho iniziato a perdere colpi perché sono arrivate le pressioni e le opinioni della gente. Allo stesso tempo quando facevo musica mi sentivo così felice di essere arrivata al punto in cui mi stavo preparando a fare un secondo album, sentendomi così orgogliosa del punto in cui ero arrivata, che ho continuato nonostante la paura di fallire. Prima volavo. E guardandomi indietro, ho volato. Ora sto cadendo, ma non lo farò per molto tempo. Quando salirò sul palco, starò bene perché potrò vedere che emoziono la gente, facendo del bene».

Qual è il tuo processo creativo? Come ti vengono le idee per le canzoni e come scrivi le tue canzoni?

«È un processo casuale. Lavoro alla base, che si tratti di tastiere o chitarra o di un ritmo, e poi canto. Abbiamo sempre il microfono acceso, a volte la canzone si scrive da sola. Altre volte no. Altre volte canto di qualcosa che non è ancora successo. In alcuni casi ho provato a scrivere e non sono riuscita. Le melodie sono sempre lì, magari le ho in testa per giorni, ma mi manca la voglia, o l'ispirazione per scrivere. Per questo mi piace lavorare con altre persone, perché ti danno una prospettiva diversa e ti aiutano a tirare fuori quello che stai cercando di dire».

Qual è il brano che ti è venuto più naturale scrivere o registrare?

«"Too Many Times" è nata in modo davvero naturale.... Era solo chitarra, poi ho cantato questa melodia, molte delle parole erano già lì. Siamo andati a fare una passeggiata, abbiamo finito di scrivere la canzone e siamo tornati a registrarla. È stato un brano velocissimo da scrivere e produrre. Anche "Little Things" è stata abbastanza semplice perché alcune parole erano già presenti. E poi abbiamo semplicemente immaginato una storia in cui sono fuori e vedo qualcuno che mi piace. "What if My Heart Beats Faster?" è stata abbastanza semplice da comporre, perché avevo già il testo, da lì il resto è stato solo un po' di freestyle».

L'album sembra più sperimentale e up-tempo rispetto al vostro ultimo album. È stato intenzionale?

«Non c'è stato niente di programmato. Abbiamo fatto quello che ci sembrava giusto. Tutto quello che ci piaceva lo abbiamo messo in una cartella per l'album. C'è stata una canzone che mi è piaciuta molto che abbiamo scritto prima di "Little Things" e che poi è stata sostituita dall'altra. Ma ho sempre pensato di tenerla comunque lì. Si intitolava "High", ma non l'ho inserita. Quella sì che era uptempo. L'ordine delle canzoni dell'album è in volo e poi in discesa».

Hai detto che c'era una canzone che "Little Things" ha sostituito?

«Era una canzone dance, l'avevamo in mente, ma poi abbiamo scritto "Little Things". Avrebbe dovuto venire dopo e poi si è discusso di toglierla. Voglio dire, posso sempre inserirla in un secondo momento».

Mi racconti come è nata "Little Things"?

«Stavo chiacchierando al piano di sotto con degli amici. Avevo dei drink in frigo, ho bevuto e sono salita al piano di sopra. P2J [produttore della canzone] stava suonando questo ritmo funky, poi New Machine [un altro produttore] era lì alla tastiera e ha iniziato a suonare il pianoforte che si sente nella canzone. Appena l'ho sentito, ho pensato "Oh mio Dio". Ho iniziato a cantare il verso "It's the little things" e pochi minuti dopo abbiamo iniziato a registrare una jam session di 10 minuti. All'inizio della canzone, mi sentite infatti cantare in modo super spontaneo. Sono solo parole senza senso, suoni e alla fine la linea di basso con la registrazione pulita».


È interessante, perché la canzone sembra proprio nata così.

«Era una festa. La stanza era un disastro. Tutti si mettevano in mezzo. È proprio come nel video musicale».

La tua musica sembra decisamente onesta in questo senso.

«Qualsiasi cosa io stia pensando o provando, anche se vi sto mentendo o non vi sto dicendo come mi sento, la scoprirete in una canzone. La musica è l'unico posto in cui mi sento a mio agio. Non ho problemi a dire quello che penso, ma nelle mie canzoni dirò qualsiasi cosa. Non mi interessa. Sono sempre stata così, onesta, genuina o forse ingenua. Prima, quando ero più piccola, cantavo una sensazione, un desiderio: "Voglio essere innamorata, ma non so come sia, quindi ecco queste canzoni che ne parlano". Ora invece sono più attaccata al racconto di esperienze».

Ti senti più a terra ora che ti sei trasferita a casa?

«Mi sento più me stessa e anche lavorare con [il produttore] DameDame qui, e stare con la mia famiglia mi aiuta a stare con i piedi per terra. Molti dei miei amici si sono trasferiti a Londra. È anche per questo che non sono mai tornata a casa, perché c'era un grande gruppo di amici in città. Ma mi mancava casa e le mie radici, mi piace molto stare qui, dove la gente è orgogliosa di me».

Sì, credo sia importante avere un sistema di supporto e un senso di appartenenza.

«Penso che sia un bene, se così si può dire, fare delle prove con le persone di cui ti circondi, per capire chi ti fa stare meglio. Io ho scelto persone vere, che non hanno secondi fini. Le persone buone sono difficili da trovare, soprattutto quando ci si sposta spesso e non si vive nel luogo da cui si proviene. Ma quando trovi queste persone, non le perdi più. Come i miei amici di sempre».

Che significato ha per te questo album ora?

«Penso che assumerà un nuovo significato quando farò il live tour in Europa, così potrò vedere la reazione delle persone alle mie canzoni, sentirle cantare con me, vedere come si sentono. Credo che in quel periodo assumerà un nuovo significato, perché questo album è davvero per voi ragazzi e non per me».

DaELLE US