Era l’epoca dei selfie con la Reflex, scattati nella mia cameretta durante gli anni del liceo; l’epoca del tatuaggio con le piume, di American Apparel; l’epoca degli hashtag. Era il 2010, indossavo gonne a ruota, collant a pois e maglie crop stinte. Ero riuscita a scovare un paio di zeppe firmate Jeffrey Campbell Lita, allora esaurite ovunque, e le indossavo sempre nonostante mi avessero causato una distorsione alla caviglia. Per 12 dollari, comprai online un paio short di jeans borchiati, mentre il centro commerciale di zona vendeva solo orrendi calzoncini a vita bassa. In quegli anni, avrei fatto qualsiasi cosa per diventare la dea del “Tumblr Fashion”.

Desideravo disperatamente essere coerente a quell’estetica così precisa che vedevo sulla piattaforma [nata nel 2007, nda], per la quale avrei passato il decennio successivo a prendermi per il culo da sola. Ma adesso che questo trend è tornato grazie a Megan Fox e Machine Gun Kelly, Kravis, le vibe grungecore-misto-Jess-di-New Girl, ho capito una cosa: sarò anche stata cringe, ma almeno mi sentivo libera.

Nella mia piccola cittadina nel Tennessee, dove anche l’inaugurazione di una nuova Cheesecake Factory era un evento, vedevo Tumblr come uno spiraglio sul mondo, lontano dalla vita di periferia. Fissavo le Gif delle serie britanniche, leggevo le fan fiction degli One Direction e mi tenevo aggiornata sulle le tendenze che vedevo su Internet ma dovevano ancora arrivare dalle mie parti. I miei compagni di classe ammiravano il mio look e io accettavo il complimento, pur sapendo di essere piuttosto indietro, in fatto di stile, rispetto alle vere e celebri blogger. E sono state loro in effetti a ispirarmi in quella che sarebbero stata la mia fase più creativa, in cui mi sono espressa maggiormente.

Allora, io e le mie amiche ci imbarcavamo spesso in quelle che chiamavamo “avventure fotografiche”. Passavamo giorni a scorrazzare per la città e a scattarci foto l’un l’altro in posa sulle panchine del parco come Alexa Chung o sui binari vuoti del treno (sì lo so che è illegale). Postavamo queste immagini, spesso accompagnate da citazioni senza senso («Ti penso con colori che non esistono»), con la speranza di ottenere una tonnellata di like e reblog. E anche se non sono mai diventata famosa, mi sentivo appagata, come se potessi indossare e creare qualsiasi cosa volessi, senza critiche e senza giudizi. Ora, guardandomi intorno, osservo queste coppie di celebrità con i loro accessori dall’allure punk e gli abiti semitrasparenti (e le immancabili effusioni in pubblico), e penso che di rado mi sia sentita come quando mi vestivo in quel modo. Forse perché ora sono un’adulta a tutti gli effetti, con responsabilità e ansie da gestire, o forse perché al giorno d’oggi è più difficile trovare l’ispirazione (no, Instagram non è la stessa cosa, se ve lo steste chiedendo). E immagino di non essere la sola a pensarla così.

TikTok, l’evento di enorme impatto culturale che è stata la seconda stagione di Euphoria e i designer stanno dando risonanza a questo trend, perché la gente vuole di nuovo indossare quei capi provocatori e ribelli à la Tumblr (magari però con meno maglioni coi gattini e più outfit in stile Olivia Rodrigo), e vuole farlo senza essere giudicata.

Tutto ciò mi ha fatto venire voglia di accedere di nuovo al mio vecchio profilo. Ma con mia grande costernazione, il mio account era bloccato. Le mie foto. I miei reblog. La mia “poesia”. Tutto perso, svanito nel nulla, tenuto in ostaggio da un indirizzo email ormai defunto. Alcuni dei migliori – e più imbarazzanti – anni della mia vita ora fluttuano nell’abisso di Internet senza alcuna possibilità di recupero. Le civiltà antiche hanno perso la Grande Biblioteca di Alessandria, io ho perso il mio archivio di giovane, splendido, autentico imbarazzo.