È la fine, ma i segni c’erano tutti. Se ne parla facendo spallucce, senza crederci troppo, diffidando dei numeri del Washington Post.

Il 55% della generazione Z e dei millennial afferma che l’amicizia è più importante dell’amore. Stravolta la tradizionale gerarchia delle relazioni.

Ho fatto la domanda in un sondaggio su Instagram, chiedendo ai miei follower (perlopiù della generazione Z) di scegliere quale tipo di relazione – d’amicizia o romantica - desiderassero di più. La maggior parte dei miei 71 intervistati (66%) ha scelto l’amicizia. Curiosamente, i risultati differivano in base al sesso: il 70% di coloro che affermavano di dare più valore alle amicizie rispetto al romanticismo erano donne.

A ognuno il suo pulpito, vengo da quasi dieci anni di posta del cuore, posso parlare. Prima non andava tutto così male, andava solo abbastanza male. Abbiamo attraversato dieci anni cruciali di social, di fotografie abbellite, poi troppo abbellite, poi non eravamo più noi. Poi whatsapp. Con i messaggi gratis. Nemmeno più l’investimento economico dei venticinque centesimi per far leggere tre righe al destinatario. Non costa niente? Non vale niente.

Poi Tinder, che perlopiù nessuno ha saputo usare, è diventato il grande delivery del sesso-senza-portarti-a-cena-tre-sere. E poi ancora abbiamo deciso di dare i nomi alle cose ma li abbiamo dati sbagliati. Sparisce l’archetipo dell’opportunista ragazzo freddo, medio-fighetto-che-ci-sa-fare e già sazio di frequentazioni. Tragico passaggio da fariniello a narcisista.

Così è arrivata la frana definitiva, la Lehman brothers: abbiamo detto che contro questo disinteresse strategico dei maschi del nuovo millennio potevamo farcela lo stesso. Che l’avremmo chiamato friend with benefit e ci siamo fatte andare bene svestirci e rivestirci a comando e poi uscire dal letto zitte e mute e ci sentiamo quando ci sentiamo.

Abbiamo voluto normalizzare, bene, ora è tutto normale.

Non chiamiamolo progresso dei costumi, è una storia che parla di come l’anticonformismo spesso sia solo a parole ma non nei fatti, altrimenti, mi dico, non vedrei tutti quei narcisista! Maschio tossico! in giro per i social, neanche la pubblicità del mulino bianco negli Anni ‘80 era così invasiva.

Si chiamerebbe abuso di posizione dominante del maschio, ma ancora nessuno se la sente di dirlo.

Lo dico io, leggo troppe lettere alla settimana, tutte con la stessa storia. Mi ricordo il solito dolore confezionato, quello che sapevamo più o meno maneggiare tutte: mi tradisce-non mi vuole-non chiama. Poi si ricominciava. Adesso quelle lettere del cuore dicono: «ho avuto così tante delusioni che ormai mi sembra una fatica uscire con qualcuno».

La colpa è sempre sua, del narcisista trionfante. Il Nino Sarratore, l’esemplare tossico, insomma ci siamo capiti.

«Come disturbo del carattere, il narcisismo è l’esatto contrario dello spiccato amor proprio. Lo sprofondamento nel sé non produce gratificazione, procura dolore al sé. L’estinzione dei confini tra il sé e l’Altro significa che al sé non può mai capitare qualcosa di “nuovo”, di “altro”. Questo viene ingurgitato e trasformato finché il sé non si riconosce in esso – ma in tal modo l’altra cosa o persona perde di significato. […]»

Richard Sennett, The Fall of Public Man, Norton & Company, New York 1992.

Questo era il narcisismo del secolo scorso. Cosa è cambiato? Tutto.

«Il narcisista non mira alle esperienze, in tutto ciò che gli si fa incontro egli vuole fare esperienza di se stesso. […] Ci si affoga nel sé».

Ora gli garba! Gli garba affogare in questo mar! Gli piace! Quando mai è stato meglio di così? Insieme libero, desiderato, e con nessun impegno a parte esserci il meno possibile.

Essere cattivi è difficile, ma paga - non mi ricordo chi l’ha detto, e mi dispiace ammettere che aveva ragione.

Con queste premesse, come si poteva arrivare a un altro esito che non fosse il “Chi me lo fa fare?”, il Big Quit delle ragazze. Le grandi dimissioni. Una epocale risposta Bartleby a ogni istinto sentimentale: «preferirei di no». No a tutto, specialmente alle mille chat whatsapp dove non chiedi di vedermi.

Ora però servirebbe una Sally Rooney o qualche altro grande autore della nuova generazione per dare una risposta urgente al nostro: «E adesso?».