I dati Istat parlano chiaro e fotografano una situazione a dir poco preoccupante. Nel 2020 le chiamate al 1522, il numero di pubblica utilità contro la violenza sulle donne e lo stalking, sono aumentate del 79,5% rispetto al 2019 con un'impennata a partire da fine marzo con l'inizio del lockdown. Percentuali che unite ai numeri agghiaccianti dei femminicidi in Italia, urlano a gran voce un intervento massiccio da parte delle autorità per tutelare e sostenere le donne vittime di violenza. Un primo step nei giorni scorsi c’è stato: si chiama Reddito di libertà, e questo è tutto quello che sappiamo.

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Entrato in vigore il 20 luglio, giorno in cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale, il Reddito di libertà è stato istituito per sostenere le donne che escono da situazioni di violenza (spesso sotto ricatto proprio dal punto di vista economico) e per i loro figli. Un sussidio statale proposto da Lucia Annibali, avvocata e deputata di Italia Viva, che, grazie ai 3 milioni stanziati e messi a disposizione delle Regioni e province autonome, può arrivare fino a 400 euro mensili per un massimo di dodici mensilità. Il bonus, cumulabile con il Reddito di Cittadinanza è quindi destinato "alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori, seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle regioni e dai servizi sociali", come si legge nell’articolo 3 del Dpcm del 17 dicembre 2020.

Entrando nel dettaglio, il Reddito di libertà è finalizzato a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale della vittima nonché il percorso scolastico e formativo dei/delle figli/figlie minori. Per ottenere il reddito di libertà sarà necessario richiedere la somma all’Inps presentando un'autocertificazione con allegati la dichiarazione firmata dal rappresentante legale del Centro antiviolenza e una nota del servizio sociale professionale di riferimento, che attesti lo stato di bisogno straordinario o urgente della richiedente. Ovviamente spetterà all'Inps la vigilanza sulla legittimità delle domande e sulle condizioni delle donne a cui verrà riconosciuto o revocato il trattamento. Un piccolo passo avanti, con la speranza che faccia da apripista ad altre iniziative simili.