Ehi, tu, tu che "Per fortuna è venerdì", ma il lunedì ti svegli col sorriso. Tu che devi staccare presto per prendere tuo figlio a scuola, tu che ti arrabbi, piangi, poi fai un respiro profondo e inizi la mail con "Gentilissimo direttore". Tu che scendi in piazza a manifestare, tu che non sai come chiedere un aumento, tu che il lavoro l'hai perso, tu che lo stai cercando e non ne puoi più di fare colloqui. Tu che non hai diritti. Tu che non vieni pagato. Tu che a fine giornata, tolti camice e mascherina, ti butti esausta sul letto. Questa giornata è anche per te. Oggi è il primo maggio: la giornata dei lavoratori, il giorno in cui celebriamo le energie che dal lunedì al venerdì spendiamo per guadagnarci da vivere, per fare quello che ci piace (o che ci serve) e per dare un piccolo contributo alla società in cui viviamo.

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La giornata di oggi ce la ricordiamo perché si fa ponte (quando ci va bene), perché c'è il Concerto del primo maggio e perché è un'ottima ragione per festeggiare. Spesso, però, non conosciamo le origini di questa ricorrenza. La Festa dei lavoratori nasce il 20 luglio del 1889 a Parigi: a proporre l'idea sono i rappresentanti dei partiti socialisti e laburisti europei riunitisi nella capitale francese per il congresso della Seconda Internazionale socialista. Viene scelto il primo maggio per un motivo ben preciso: in quella data nel 1867 a Chicago è stata approvata la prima legge che stabiliva un orario lavorativo massimo di 8 ore dopo il susseguirsi di scioperi, manifestazioni e scontri con la polizia. Questo ci ricorda una cosa: quando si parla di lavoro si deve parlare di diritti perché negli anni si è dovuto lottare per arrivare dove siamo adesso e di strada ce n'è ancora tanta da fare.

Per molti di noi il lavoro è una soddisfazione, una scelta, forse anche una missione di vita e la realizzazione di un sogno. Capire cosa ci appassiona e trovare il modo per trasformarlo (con fatica e fiducia) in una carriera soddisfacente può essere meraviglioso e spaventoso allo sesso tempo. Eppure non dobbiamo dimenticare che si tratta pur sempre di un privilegio. Lavoro per molte persone è anche il semplice cercare di arrivare a fine mese, è scendere a patti con sacrifici quotidiani, è subire discriminazioni e abusi. Il mondo del lavoro, anche in un Paese come l'Italia, è ancora segnato da ingiustizie. Pensiamo anche solo alle proteste dei riders, agli infortuni sul lavoro, agli stage non pagati, ai braccianti irregolari che raccolgono i nostri pomodori. Pensiamo al gender pay gap, alla disoccupazione femminile in costante crescita e al lavoro di cura non pagato. Pensiamo a chi fa sex work in una società che li stigmatizza e a come la pandemia ha esacerbato le situazioni già critiche.

Il primo maggio è fatto per celebrare il lavoro, certo, ma anche per ripensarlo discutendo di riforme doverose e maggiori tutele, per immaginare nuovi scenari, dalla settimana lavorativa di quattro giorni a - perché no - un reddito universale incondizionato. È fatto per chiederci cosa significa per noi "lavoro" e che ruolo gli diamo nelle nostre vite. Se sia giusto mandare l'ultima mail alle dieci di sera e dove arrivi il limite. Serve a dirci che, al di là di tutto - al di là di passione, ambizione o necessità - noi non siamo il nostro lavoro e il nostro valore va ben oltre la nostra produttività. Oggi almeno ricordiamocelo. Buona festa!