A marzo 2024, in Francia, la camera bassa del parlamento ha approvato un disegno di legge che vuole vietare la discriminazione in base all’acconciatura dei capelli sul posto di lavoro. Secondo i sostenitori della misura, tra cui Olivier Serva, il deputato indipendente del territorio d’oltremare francese di Guadalupa suo promotore, la norma rappresenterebbe un passo avanti soprattutto per le donne nere, qualora passasse al vaglio del Senato e venisse quindi convertita in legge a tutti gli effetti. La proposta storica, volta a penalizzare ogni discriminazione sul posto di lavoro basata su «acconciatura, colore, lunghezza o struttura» dei capelli, trae infatti il suo fondamento dalla discriminazione subita in particolare, come spiega Serra, dalle donne francesi di origine africana, durante i colloqui e sul posto di lavoro. Ma coinvolgerebbe anche chi, invece, ha i capelli rossi, i dread e le persone calve: «Chi non si adatta alle norme eurocentriche affronta discriminazioni, stereotipi e pregiudizi», ha affermato infatti il deputato.

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Silvia Omo-ogbewi

Da diverse generazioni, in Francia convivono molteplici culture: sono molti anni che le donne di origine africana, prima dei colloqui, vengono incoraggiate a cambiare le proprie chiome: questa legge simboleggerebbe perciò uno spartiacque importante, contribuendo all'appiattimento, a livello culturale, di fenomeni da smantellare come il razzismo sistemico. Un provvedimento che, crediamo, servirebbe anche in Italia: sebbene il lato del Paese più vecchio fatichi a riconoscere le voci delle persone italiane afrodiscendenti, queste contribuiscono contribuiscono sempre di più a comporre il tessuto sociale della popolazione. Come vivono le donne nere in Italia il rapporto tra i propri capelli e le discriminazioni? Si potrebbe parlare di una norma simile anche qui?

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Sara Compaore


Per fare un punto della situazione in Italia riguardo alla discriminazione dei capelli afro, non potevamo che fare emergere la voce di chi questa discriminazione l'ha vissuta (o la vive) in prima persona. Cosmopolitan ha parlato con Silvia Omo-ogbewi, modella e content creator, e Sara Compaore, hair coach e fondatrice del suo brand per capelli afro, Silvia Omo-ogbewi e Sara Compaore, entrambe molto seguite sui social agli alias, rispettivamente come @omosapiens.xy e @_perseverantia_, che ci hanno raccontato la loro esperienza.

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Silvia Omo-ogbewi

Ti è mai capitato di venire discriminata sul lavoro per via dei tuoi capelli?

Silvia: «Sì, mi è capitato di essere discriminata sul luogo di lavoro. Ho fatto l’animatrice in discoteca per molti anni e il fatto che avessi i capelli corti non era benaccetto. Non sarei stata abbastanza bella per il pubblico con i miei capelli naturali, perciò era necessario che avessi sempre delle acconciature gradevoli per l’estetica italiana. Una volta in preda all’ansia per il fatto che avessi i miei capelli corti e dovevo ballare in discoteca mi sono presentata con una parrucca che al proprietario non piaceva e si era permesso di dirmi di legarmi i capelli perciò mi sono tolta la parrucca e ho messo il mio durag (tipo di foulard diffuso nella cultura afroamericana e hip hop) e mi sono sentita libera e forte. Prima di smettere di lavorare in discoteca ho ballato spesso con i miei capelli naturali. L’ultima serata in cui ho lavorato l’ho fatta con i miei afro e mi sono sentita fiera di me e del rapporto che sono riuscita a creare con me stessa e di come negli anni sto sciogliendo sempre di più questo disagio che mi porto da quando ero piccolina. È dura sapere da sempre che la tua immagine non rispecchia ciò che piace all’Italia e dover cercare all’estero donne che ti assomiglino per sentirti meno sola e per trovare il modo di amarti».

Sara: «Si. Sia per quanto riguarda il capello afro che le treccine».

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Sara Compaore


Ti sei sempre sentita in accordo con i tuoi capelli crescendo? Soprattutto crescendo in Italia?

    Silvia: «No, non mi sono sempre sentita in accordo con i miei capelli. Il rapporto con loro è stato di amore e odio. Sono una donna nera con i capelli afro corti e non ero e non sono il canone preferito dalle persone in Italia. Da piccolina ricevevo prese in giro come "maschiaccio", "sembri un uomo"… Di conseguenza provavo sempre a nascondere questo mio "difetto", che ora vedo come una benedizione».

    Sara: «No, in quanto sottoposta a continui "standard" e in quanto le persone afro in primis tendono a portare più "capelli" "eurocentrici", quindi si cresce con la convinzione che i propri capelli non vadano bene».

    C'è un modo con cui ha scoperto di riuscire a valorizzarli al meglio? Se si quale?

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    Silvia Omo-ogbewi

    Silvia: «Non c’è un modo particolare con cui ho scoperto di riuscire a valorizzarli al meglio. Ho sempre fatto acconciature particolari, treccine super colorate, extension lunghissime, riccissime. In passato involontariamente ho usato tutti questi look anche un po’ come una maschera, potevo essere stravagante a modo mio e avere i capelli lunghi che avevo sempre desiderato e rientrare nella concezione di "femminilità" dell'Italia. Ora le meravigliose acconciature che scelgo le vedo come un legame con la mia cultura e come la celebrazione della mia bellezza e dell’arte delle mie antenate. I miei capelli corti sono l’arcobaleno più prezioso che ho e li amo sempre di più».

    Sara: «Ho fondato un brand (She's Royal Cosmetics @afro_hair_maison, nda) in quanto la reperibilità di prodotti (a livello mondiale) qualitativamente alti è scarsa. Per valorizzarmi ho dovuto investire io stessa e aiutare migliaia di donne uomini giovani e non solo che volevano fare lo stesso».

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    Discriminazione sui capelli afro, lo studio

    american political activist, angela davis, speaking at an anti apartheid rally at friends house, euston, london, 13th december 1974 davis is in london to campaign for the release of political prisoners in south africa photo by keystonehulton archivegetty imagespinterest
    Keystone//Getty Images
    Angela Davis, attivista afromaericana, nel 1974

    Uno studio del 2023 di Linkedin in collaborazione con Dove racconta le implicazioni sistemiche, sociali ed economiche, dei pregiudizi sui capelli e della discriminazione contro le donne nere sul posto di lavoro. Denominato Crown Act, questo studio segnala l'urgenza di un cambiamento necessario: ha rivelato infatti come negli Stati Uniti i capelli delle donne nere abbiano 2,5 volte in più di probabilità di essere considerati non professionali: «Circa il 66% delle donne afroamericane cambia lo styling dei propri capelli per un colloquio di lavoro e, in particolare, il 41% di loro lo fa da ricci a lisci», spiega Lifegate.

    Il 54% delle donne nere infatti «si sente in dovere di portare i capelli lisci a un colloquio di lavoro per avere successo», mentre il 44 per cento «sente il bisogno di avere almeno una foto con i capelli lisci». Senza contare che «più del 20 per cento delle donne nere che hanno continuato a portare i capelli ricci sono state licenziate per questa scelta e, come se non bastasse, quelle che conservano il posto sono due volte più propense a subire microaggressioni sul posto di lavoro rispetto alle donne nere con capelli più lisci».

    La Francia non è l'unica a essersi mossa contro questo tipo di discriminazioni. Su Lifegate si legge anche: «Negli Stati Uniti, almeno 23 stati hanno approvato leggi mirate a proteggere le persone dalla discriminazione basata sui capelli, mentre nel Regno Unito la Commissione per l’Uguaglianza e i Diritti Umani ha emesso linee guida contro la discriminazione basata sui capelli nelle scuole». Le testimonianze di Omo-ogbewi e Compaore ci fanno capire quanto anche l'Italia abbia bisogno di questo.