È passato più di mezzo secolo da quando Nelson Mandela si è battuto contro la segregazione razziale nel suo Sudafrica e da quando Rosa Parks andando al lavoro ha rifiutato di cedere il suo posto a un bianco che lo pretendeva, a Montgomery in Alabama. Da quando gli atleti olimpici Tommie Smith e John Carlos salirono sul podio a Città del Messico con un guanto nero e un pugno alzato e da quando Martin Luther King ha raccontato il suo sogno davanti al Lincoln Memorial di Washington e davanti al mondo.

Sono passati appena sei anni da quando Eric Garner è morto a New York soffocato da un agente di polizia, esattamente come è successo a George Floyd pochi giorni fa. All'epoca tantissimi sportivi tra cui LeBron James e Kobe Briant, sono scesi in campo indossando la maglietta "I Can't Breathe". Oggi migliaia di persone alzano la voce contro il pregiudizio nei confronti delle persone di colore: pregiudizio che, in alcuni casi, pagano al prezzo della loro stessa vita.

Al grido di Black Lives Matter l'ondata di antirazzismo che si consuma dall'altra parte dell'oceano è arrivata in Italia come uno tsunami a smuovere le coscienze. Mentre in USA ci si batte contro l'abuso di potere da parte delle forze dell'ordine, in Italia la discriminazione ha contorni più sfumati, meno evidenti e proprio per questo ancora più subdoli. Gli effetti non sono eclatanti come la morte di un essere umano per mano (anzi ginocchio premuto sul collo) di un altro. Ma non per questo sono meno gravi.

Il "racial profiling", ovvero profilazione su base etnica da parte delle forze dell'ordine è un problema molto sentito in USA, che esiste anche in Italia: secondo la ricerca Discrimination condotta dall’Associazione Antigone gli stranieri (intesi come persone residenti in Italia che non hanno cittadinanza italiana) vengono fermati dalla polizia più degli italiani.

Il colore della pelle importa

Il movimento Black Lives Matter è stato fondato nel 2013 da tre donne afroamericane, Alicia Garza, Opal Tometi e Patrisse Cullors, per sottolineare un concetto apparentemente ovvio, ma stando ai fatti di cronaca non così tanto: le vite delle persone di colore sono importanti.

Filtrata dagli algoritmi e dai media, il rischio è che #BLM arrivi da noi come l'ennesimo trending topic, senza lasciare davvero un solco profondo nella xenofobia che striscia nel nostro paese e non riguarda solo le persone di colore.

"Quando nelle nostre strade incontriamo delle persone rom, sinti, non dobbiamo cambiare strada. Quelle persone hanno un nome, hanno un'identità, hanno un valore. Nella battaglia dell'antirazzismo bisogna tenere conto di tutte le minoranze,"

dice l'attivista Esperance Hakuzwimana Ripanti, autrice di E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana e si arrabbia perché adesso tante coscienze si svegliano perché dall'altra parte dell'oceano qualcuno ha alzato la voce e la causa è diventata virale.

Secondo una ricerca condotta da Eurobarometro nel 2019, l'Italia è tra i paesi europei più razzisti verso l'etnia rom, dopo la Grecia e la Svezia. L'ultimo report condotto dall'Agenzia Europea dei diritti fondamentali sul tema delle minoranze evidenzia che Rom e persone di origine subsahariana vengono discriminate in base all'aspetto fisico e al colore della pelle, mentre nordafricani e turchi in base al nome.

L'Italia è tra le capitali della schiavitù moderna

George Floyd è l’ennesimo caso di persona afroamericana uccisa da un Paese che non ha mai davvero abolito la segregazione razziale se non nella forma. Le proteste contro un sistema basato sulla “libertà” per pochi, razzista e classista, non si arresteranno fino al raggiungimento di un cambiamento radicale che veda finalmente le persone afroamericane e tutte le minoranze come esseri umani che hanno non solo il diritto all’esistenza ma quello di poter vivere in condizioni sociali giuste e dignitose, senza dover crescere con il pensiero che il colore della pelle possa bastare per una sentenza di morte.

Scrive così l'attivista Oiza Q. Obasuyi su The Vision. In USA la schiavitù è stata ufficialmente abolita nel 1863, ma la realtà è che più di un secolo e mezzo dopo ne sentiamo ancora gli strascichi, anche da questo capo del mondo, dove migliaia di persone ogni anno, spinte dalla guerra e dalla disperazione, arrivano sulle coste italiane, lavorano nei campi di fragole e pomodori a condizioni non molto diverse da quelle dei campi di cotone in Alabama due secoli fa.

L'Italia è il terzo stato europeo col più alto tasso di schiavitù moderna, dopo la Polonia e la Turchia. Ufficialmente la schiavitù nel nostro paese è illegale, ma esistono altre forme di sfruttamento paragonabili, come lo sfruttamento della prostituzione, i matrimoni forzati, la madonopera forzata nei campi o nelle fabbriche, in generale tutte le forme di abuso o ricatto che negano a una persona la propria libertà. Lo rivela un rapporto della Walk Free Foundation, che analizza il traffico di esseri umani nel mondo.

Un gap sul lavoro tre volte discriminatorio per le donne

Volevo essere come gli altri bambini, e sognare di avere più scelte, perchè la Maestra continuava a dirci che da grandi avremmo realizzato le nostre aspirazioni e che eravamo tutti uguali. Non volevo fare la badante, oppure la prostituta, ma era questo che mi suggeriva continuamente la società in cui vivevo. Era questo che mi ripetevano i miei compagni di scuola, o la gente del mio Paese. Che in quanto nera non avrei dovuto sognare troppo, ma anzi trovarmi al più presto un lavoro per non perdere la possibilità di rinnovare il permesso di soggiorno.

Con queste parole Djarah Kan il 1 maggio, per la festa dei lavoratori, spiega che non esiste un solo mondo del lavoro ma ce ne sono due: uno per gli italiani e uno per gli immigrati. Secondo il rapporto della Rete europea contro il razzismo, in Italia si sta facendo pochissimo per limitare le discriminazioni dovute a razzismo, classe sociale e sessismo, una combo micidiale che penalizza soprattutto le donne di colore, indipendentemente dalla loro nazionalità. Le donne che riescono tra mille ostacoli a trovare un impiego vengono pagate fino al 28% in meno di una donna italiana di pari competenze.

Segui Esperance, Oiza e Djarah nella rubrica "Non me nero accorta!" sui loro profili social.

DA VEDERE

American Son (2019)

Questo capitolo contiene spoiler, se vuoi goderti il film salta avanti. Il film è tratto da uno spettacolo teatrale che ha sbancato a Broadway, la bravissima Kerry Washington interpreta la madre di colore di Jamal, adolescente irrequieto di ottima famiglia, benestante e istruito, che una sera non torna più a casa. Tutta la scena si svolge all'alba, in un commissariato di polizia, dove lei per il solo fatto di essere una madre single di colore viene trattata con sufficienza. Le cose cambiano quando compare il suo ex marito, un agente dell'FBI, caucasico. Alla fine si scoprirà che Jamal è stato ucciso con un colpo di pistola da un agente di polizia. Una critica di grande attualità: negli USA le persone di colore hanno 2 possibilità e mezza in più delle persone caucasiche di essere uccise dalle forze dell'ordine.

Self-made - La vita di Madam C.J. Walker (2020)

Una mini serie sulla vita incredibile di Sarah Breedlove (interpretata da Octavia Spencer) una delle prime e più grandi donne imprenditrici di colore, che ha creato un impero di cosmetici per capelli a Montgomery, in Alabama. È stata anche un'attivista per i diritti delle donne di colore ai primi del Novecento, in un contesto dominato dagli uomini. Figlia di schiavi, nata e cresciuta in un campo di cotone, è diventata la prima donna americana miliardaria con le sue sole forze: "sono stata promossa lavandaia, poi cuoca e da lì mi sono promossa da sola nel mondo degli affari ideando e realizzando prodotti per capelli". Si è anche rifiutata di seguire un consiglio del suo vicino di casa, il miliardario Rockefeller, che le aveva consigliato di licenziare le sue agenti. Lei ha deciso di promuoverle e incentivarle, arricchendo anche loro, anziché seguire il consiglio di un maschio bianco.

Little Fires Everywhere (2020)

La serie tv uscita in questi giorni su Prime vede Reese Witherspoon nei panni della privilegiata bianca e Kerry Washington in quelli della "madre single di colore che vive con la figlia adolescente in un'auto scassata." Perché così tanti aggettivi per la seconda? Perché il white privilege, il privilegio dei bianchi, non serve spiegarlo. C'è e basta, da sempre, e questa serie tratta da un best seller lo mette magistralmente in scena. Portato all'estremo diventa qualcosa di terribile, da qualsiasi angolazione lo guardi, dal paternalismo su base razziale (si chiama white savior, il complesso salvatore bianco), al suprematismo bianco. Lì in mezzo c'è il razzismo. C'è una scena, nell'episodio pilota, in cui una madre spiega alla figlia adolescente che "noi non siamo come loro" e "quelli come noi non la passano liscia". Loro sono una famiglia americana bianca. Quelli come noi sono le persone di colore.

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