La mia rottura più traumatica non è neanche definibile una “rottura” in senso stretto.
Non so se abbia un nome, sapete quando decidete di dire «Ti amo» alla persona che frequentate da qualche mese e poi vi ritrovate a piangere disperati sul letto perché vi ha scaricati? Avevo 21 anni, lui 37, ed ero in preda a quel tipo di infatuazione delirante tipica di una situationship, cioè una storia appena nata, in cui uno dei due è molto più coinvolto dell’altro e in cui mai si progredisce. Evidentemente avevo scordato che queste pseudo-relazioni, brevi ma intense, finiscono quasi sempre così, con una persona devastata. Eccomi. So che potete capirmi. E sapete chi altro può farlo? Taylor Swift. La fine di alcune delle sue storie più brevi l’ha spinta a creare non una, non due, ma infinite canzoni – inno dei cuori infranti (vedi “All Too Well”). Lo schema è sempre uguale ma – chissà perché – apparentemente inevitabile: colpo di fulmine, tanti appuntamenti, super-romanticismo, mille messaggi, incontri con amici o persino con le famiglie, il tutto senza etichette o impegni reali. E poi: il nulla.

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Se, come da leggenda, per dimenticare un amore serve metà del tempo che è durato, in base ai miei calcoli per superare una storia trimestrale ci vogliono otto volte tanto la sua effettiva durata. Magari può sembrare eccessivo, ma ci sono dei validi motivi per cui queste rotture sono così dolorose, afferma la psicologa Naomi Bernstein. Le relazioni “mordi e fuggi” sono un mix di fattori potenzialmente esplosivi, ecco perché ci lasciano così sconvolti.

Consideratela una forma di dipendenza

«Le storie di pochi mesi sono il terreno ideale per sviluppare una forma d’amore particolarmente intensa», spiega Bernstein. Poiché di solito uno dei due partner è più coinvolto dell’altro, il livello di affetto e di attenzioni che si ricevono può variare in modo significativo, come se, tra continui alti e bassi, il nostro cervello facesse un giro sulle montagne russe. Si tratta del cosiddetto “rinforzo intermittente” che, secondo Bernstein, «è particolarmente potente e crea dipendenza». Quindi, quando la relazione finisce, ci si trova essenzialmente in uno stato di astinenza, che scatena sentimenti di depressione e ansia, aggiunge la terapeuta Lindsey Brock.

Siete bloccati nella fase “luna di miele”

Per quanto riguarda i fatidici tre mesi, c’è un motivo per cui questo lasso di tempo sembra essere uno standard. Secondo Bernstein, è proprio dopo una novantina di giorni che la relazione passa dalla fase di “passione” a quella di “affezione”. E quando ciò accade, probabilmente chi dei due è più preso cercherà di avvicinarsi al partner e rendere la relazione seria, nonostante la paura che forzare le cose possa portare alla rottura (e spesso è proprio così). L’eccitazione, tutta la dopamina degli ultimi mesi è svanita, e siete state scaricati proprio nel mezzo della fase “luna di miele”. Non resta che una versione idealizzata di questa persona e di un possibile futuro insieme, il che, per la Dott.ssa Brock, è ciò che brucia di più e ci lascia con l’amaro in bocca alla fine di una situationship.

Non è che vi fate dell’auto-gaslighting?

Un altro motivo per cui queste rotture non-rotture possono risultare così devastanti è che non ci concediamo il modo di elaborarle. Invece, ci diciamo che non erano nemmeno “vere relazioni”, quindi non abbiamo il diritto di sentirci uno schifo. Ma «soffocare le proprie emozioni e giudicare i nostri sentimenti rende impossibile superarli», afferma Brock. Solo perché la situationship o storia di tre mesi che dir si voglia non rispettava gli standard sociali per essere definita una relazione “vera” e “seria”, non significa che non meritiate di piangere la perdita di una persona o anche solo di una serie di momenti che per voi sono stati importanti. E se ciò dovesse comportare incidere un brano, condoglianze per l’ex di turno.