Giorgio Pesenti risponde al telefono mentre è in pausa fuori dal suo studio di Bergamo, dove sta lavorando con Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari. Giorgio ha 27 anni ed è già uno dei nomi più importanti tra i produttori di oggi in Italia e parte degli ISIDE (ascolta alla voce "Maremoto" e Anatomia Cristallo). Un po' per scherzo e un po' come esperimento a dicembre ha pubblicato ok, il suo primo EP composto di cinque tracce che segnano un percorso, dove la sua vecchia chitarra e la voce di un caro amico si integrano perfettamente all'animo più club del disco. Lo abbiamo chiamato per farci spiegare la genesi del suo primo lavoro da solista e per sapere da lui come fa a integrare tutte queste parti di sé.

Da cosa nasce il bisogno di pubblicare un EP, e di non essere produttore solo per gli altri?

«Produrre gli altri non è semplicemente fare la propria musica su cui gli altri cantano, significa seguire il loro percorso. Questa è la mia, solo mia, versione delle cose. Ho deciso di pubblicare l'EP abbastanza a caso: avevo tante idee sull'hard disc e mi sono detto "perché non farle uscire?". Sono proprio due percorsi diversi. Questa volta ho cercato di fare una cosa mia, dove le voci ci sono ma suonano sono come strumenti».

Quando hai iniziato a fare musica?

«Ho sempre suonato la chitarra, da quando ho 11 o 12 anni, poi ho iniziato a registrare una band e lì è stato un esperimento che mi ha fatto capire tante cose. Poi altri artisti emergenti hanno voluto appoggiarsi a me (tra loro c'erano anche i Colla Zio che poi ho rivisto e per cui ho prodotto il pezzo di Sanremo, è stato molto bello rincontrarci). Mi facevo pagare pochissimo, giusto per dare un valore simbolico al mio lavoro. Poi un mio amico di Milano che organizzava l'APE mi ha chiesto di suonare un dj set, non lo avevo mai fatto ma mi gasava l'idea. Allora ho messo in piedi il live set nella più totale disperazione, mega improvvisata. Il giorno prima ero lì che esportavo tutto, facevo mille cose complicatissime, perché comunque portare un live è una cosa difficile, sto ancora imparando. Quando mi sono messo a suonare e ho visto che la gente ballava ed era presa bene, allora mi è scattata la scintilla: potevo fare la mia musica. È partito tutto da lì, all'inizio era più uno sfogo, poi ho capito che poteva vivere da sola».


C'è tantissima chitarra in questo progetto.

«Sì e uso soltanto la mia prima chitarra classica, scassatissima e a cui sono molto affezionato, me la porto sempre in giro. Ormai mi sta abbandonando, devo trovare qualcuno che me la sistemi. Non uso strumenti belli, nuovi, moderni, sintetizzatori, cose. Se mi dici suonami qualcosa, io prendo quella in mano. Ha un suo suono, bello marcio, che per questo è anche poetico. Per me era importante che nei pezzi ci fosse lei. È la mia chitarra, ecco, non so come dire».

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Courtesy of Ufficio Stampa

E la voce?

«È quella di Ytam, artista emergente che produco da sempre. Una volta gli ho detto di mandarmi dalle demo scartate, di cantarmi qualcosa. "Fai quello che vuoi", gli ho detto, "mi serve della voce nei pezzi", sentivo che mancava qualcosa. Lui mi ha mandato i suoi deliri e io ho semplicemente ho selezionato delle parti che mi piacevano, versi che mi avevano colpito. Ma non c'è un senso nella scelta: "Vedo scintille negli occhi tuoi", non ha un senso, personalmente. Oppure "Non piango mai" ha ancora meno senso, perché io piango un sacco e anche lui».

In futuro ti vedi più come solista o produttore?

«Porterò sempre avanti entrambi gli aspetti, sono due lati che mi appartengono. Passo le mie giornate in studio, è la mia vita davvero dalla mattina, alla sera, alla notte. Non mi metterei mai a fare solo musica mia tutto il giorno, penso che sarei il primo ad annoiarmi. Le idee non finiscono magari, sai, però tu ti esaurisci. Una cosa la faccio quando non faccio l'altra, ovviamente uno è più un lavoro, l'altra una passione, per il momento, però senza pensarci troppo. Mi piace produrre gli altri perché è un continuo confronto, ho persone in studio tutto il giorno e fare il produttore significa anche un po' essere psicologo. Il mio lato solista invece è più un percorso di autoanalisi e in questo è un lavoro più faticoso. Va bene farlo, ma solo ogni tanto».

La scelta del tuo nome d'arte?

«Mega random. Uno dei ragazzi con cui facevo musica all'inizio per ridere a un certo punto mi dice "ok Giorgio fammi questa base", "ok Giorgio fammi questa chitarra", è un inciso che mi è rimasto in mente. L'ho scelto come nome su Instagram perché con Giorgio Pesenti sembravo un impiegato (ride, ndr). Poi si è convertito da solo su Spotify quando ho deciso di pubblicare i pezzi».

E i titoli dei pezzi e dell'EP? Perché "okokok" e simili?

«ok, il nome del disco, cioè delle EP e dei singoli, e i titoli, "ok ok ok" per mille volte, sono una conseguenza di questa follia. in realtà c'è un motivo. È un invito ad ascoltare il progetto, non solo una canzone: la gente si perde non ricordandosi se il pezzo che vuole sentire è "okok" o "okokokok" e via dicendo, quindi sono costretti a riascoltarlo da capo per ritrovare il brano che gli piace, e il progetto prende senso come tutt'uno».