Uno showman è un uomo di spettacolo, uno "one man show" capace di intrattenere, presentare, tenere tutta l'attenzione su di sé mentre si destreggia sul palco. E una showgirl, invece, cos'è? La risposta, ahinoi, potrebbe ricalcare il famoso discorso di Paola Cortellesi ai David di Donatello del 2018: «Un cortigiano è un uomo che vive a corte. Una cortigiana? Una mignotta». Il termine showgirl, infatti, è ancora intriso di sessismo e di cliché. Che lo si usi per parlare di Ilary Blasi, di Belen Rodriguez o di Michelle Hunziker è difficile non notare una concezione poco professionalizzante. E allora non usiamolo più.

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Stefania D'Alessandro//Getty Images
Hilary Blasi

Il termine showgirl è iniziato a essere comune negli anni 60, allora si parlava anche di "soubrette" per indicare le donne che facevano spettacolo nella TV italiana. È indicativo che la parola francese significhi «servetta, cameriera, ragazza smorfiosa». Solo nel XIX secolo si è cominciato a utilizzarla nel teatro e poi, negli anni 50, in tutto il mondo dello spettacolo e, in Italia, in TV accanto a nomi come Delia Scala, Sandra Mondaini, Lauretta Masiero, Marisa Del Frate. Si trattava di donne che spesso sapevano cantare, ballare, recitare e che si destreggiavano tra diverse tipologie di spettacolo. Con la scomparsa del varietà nella televisione, il termine "soubrette" è stato poi progressivamente abbandonato per parlare, invece, di "showgirl". Pensiamo a Raffaella Carrà: come definirla? È stata cantante, ballerina, attrice, conduttrice televisiva, autrice, conduttrice radiofonica. Il termine showgirl potrebbe essere quello adatto se non fosse che finisce ancora una volta per indicare qualcosa di frivolo e raramente preso sul serio.

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Stefania D'Alessandro//Getty Images
Ambra Angiolini

In Italia si fatica a identificare gli artisti che spaziano in campi diversi, spesso guardati con sospetto. Se si tratta di donne, poi, la situazione peggiora: puoi avere successo come ballerina, ma se pretendi anche di essere presa sul serio come presentatrice o autrice qualcuno storcerà il naso. Non c'è da stupirsi, quindi, che tante donne siano ancora apostrofate come «mogli di» negando loro qualsiasi abilità o professionalità. Ilary Blasi è ricordata costantemente come «ex letterina» e il suo documentario su Netflix viene sminuito perché se sei bella, se sei sexy, se sei una showgirl non puoi essere anche intelligente, non puoi pretendere di prendere la parola. Anche Ambra Angiolini rischia ancora, dopo anni e anni di carriera, di venire imprigionata nel suo passato tra Non è la Rai e "T'appartengo", mentre Belen Rodriguez sui social è dipinta come una donna poco seria e una cattiva madre, persino quando racconta di soffrire di depressione dopo che il marito l'ha tradita. Simona Ventura, Elisabetta Canalis, Filippa Lagerbäck, Melissa Satta: difficile che le loro carriere nello showbiz vengano davvero prese sul serio o che qualcuno per definirle non le accosti al nome di un uomo.

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Elisabetta A. Villa//Getty Images
Raffaella Carrà

In qualche modo il concetto di spettacolo, se declinato al femminile, finisce sempre per comprendere un corpo sessualizzato, bello da osservare ma privo di agency. Che significa showgirl allora? Una donna che sa stare sul palco, che sa condurre, una donna che fa ridere in modo arguto, una donna con una carriera importante alle spalle? In tal caso, come hanno fatto notare in molti in questi giorni, sul palco di Sanremo dovremmo vedere delle vere conduttrici che non si limitino ad affiancare per una serata: Paola Cortellesi, Emanuela Fanelli, Andrea Delogu, di nomi ce ne sono molti. Forse il punto, ciò che dovremmo chiederci, è piuttosto che tipo di spettacolo vogliamo dalle donne e, soprattutto, che spazi abbiamo intenzione di concedere loro.