Siamo a 400 chiamate al giorno al numero di emergenza 1522 contro la violenza di genere, a volte anche 450 e si arriva a 500 richieste di aiuto se si considerano anche quelle fatte con chat e App. Cosa sta succedendo da quando Giulia Cecchettin è stata uccisa? Arianna Gentili, responsabile della help line violenza e stalking 1522, il servizio pubblico promosso dal Dipartimento per le Pari Opportunità, è chiara nel rendere noto che le denunce e le richieste al numero antiviolenza (anche da parte di genitori preoccupati per le relazioni delle figlie) in questi giorni sono duplicate.

«Di solito questo boom di telefonate lo tocchiamo tra il 24/25 e 26 novembre per la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne», spiega Gentili all'Ansa, «Quest'anno l'eco mediatica del femminicidio di Giulia ha fatto anticipare il picco. E questo perché in tante si sono identificate nella sua situazione. Giulia era una ragazza normale e come lei tante ragazze hanno lasciato il fidanzato e si ritrovano nella sua situazione». A fare la differenza, però, potrebbero essere state anche le parole di Elena Cecchettin, sorella di Giulia che, da subito, ha inquadrato la violenza di genere in ottica sistemica parlando alle ragazze e dicendo loro di leggere i segnali perché chi commette un femminicidio non è un mostro o una mela marcia, e che certe violazioni della libertà non devono essere tollerate.

Del caso Cecchettin si sta parlando in modo diverso rispetto a tanti altri femminicidi. «Per me è importante parlare alle ragazze», ha detto Elena Cecchettin prima ancora che si accertasse la morte di sua sorella, «se vi riconoscete in episodi simili o comunque in situazioni dove non vi sentite sicure, dove vi sentite schiacciate e non sentite che la vostra libertà sia piena a causa di qualcuno, chiedete aiuto. Non c’è nulla di male nel chiedere aiuto ed è meglio prevenire una situazione spiacevole che farci i conti dopo». Forse tante donne si stanno facendo forza guardando i video delle piazze gremite di persone o ascoltando chi dice loro che il possesso non è mai una forma d'amore. Sarebbe bello che le istituzioni accogliessero le denunce di chi trova il coraggio di farlo, eppure sempre in questi giorni, sotto ad un post contro la violenza di genere pubblicato su Instagram dalla Polizia di Stato, centinaia di donne stanno raccontando di non essere state ascoltate dagli agenti. «Da voi mi è stato detto “Signorina è normale litigare”. Non era normale, ed era davanti ai vostri occhi», «Mi hanno minacciata di morte. Vi ho portato gli screen. Nomi e cognomi. Non avete preso la denuncia neanche in quel caso», «Quando sono venuta a chiedervi aiuto per stalking mi avete letteralmente risposto che era tutto nella mia testa», «Ho chiamato voi quando un un uomo prendeva a schiaffi la fidanzata fuori dalla metro, mi è stato risposto "eh ma ora che usciamo avranno finito"»: i commenti sono tantissimi.

Il 1522 è un numero gratuito attivo 24 h su 24 e chiunque chiami troverà operatrici specializzate pronte a dare informazioni a aiuto, ma non basta. Serve che chi sceglie di denunciare trovi personale preparato e un sistema che non minimizzi o colpevolizzi le survivor a nessun livello, dalla centrale di polizia fino al tribunale. Altrimenti come possiamo chiedere alle donne di farsi avanti? «Dopo venti minuti di lettura dei commenti ho smesso di scorrere», scrive un'utente, «Sembrano non finire mai, e sono come coltellate».