Quest'anno i femminicidi in Italia, sono stati 82. 82 persone hanno perso la vita in quanto donne, perché viviamo in una società dove esiste ancora una gerarchia tra i generi e l'idea che il copro femminile sia qualcosa da possedere è ancora normalizzata. 82 nomi, 82 storie, ma a volte capita che solo uno di questi riesca a bucare l'indifferenza e a sconvolgere gli equilibri del dibattito mainstream: è successo con la morte di Giulia Cecchettin, ventiduenne uccisa dall'ex fidanzato Filippo Turetta. In questi giorni tante persone, soprattutto donne, raccontano di non riuscire a pensare ad altro, i social sono invasi di post su di lei e contro la violenza di genere, le piazze si stanno riempiendo.

Come mai è successo proprio per Giulia Cecchettin? Non c'è una risposta univoca, le motivazioni sono sfaccettate. Fin dall'inizio il caso in sé ha attirato molta attenzione perché, per una settimana, si è parlato dei due «ragazzi scomparsi» con giornali e programmi tv che ricostruivano l'accaduto come una sorta giallo. Questo ha portato, nel bene e nel male, il pubblico italiano a interessarsi alla vicenda e a familiarizzare con le persone coinvolte. Allo stesso tempo, il caso ha da subito mostrato diversi segni distintivi di un possibile femminicidio, secondo un pattern già visto: una storia finita, una donna che dice di no, un uomo che rifiuta la chiusura e che si dimostra possessivo, un ultimo incontro e un litigio. Mentre i media facevano diverse ipotesi, quindi, tantissime donne a casa o sui social, parlavano di un finale già scritto. Tutto questo ha avuto un forte ritorno a livello di rabbia e frustrazione al momento della conferma dell'uccisione della ragazza.

Giulia Cecchettin inoltre, era estremamente giovane e, fino ad alcune settimane fa, lei e Filippo Turetta avevano davanti un futuro sgombro. Giulia avrebbe dovuto laurearsi in Ingegneria Biomedica all'Università di Padova e Filippo gliel'ha impedito perché, secondo alcune testimonianze, non voleva che la ragazza si laureasse prima di lui e si allontanasse scegliendo un nuovo percorso. Ciò che è emerso delle vite dei due ragazzi è molto simile all'esperienza di tanti di noi e questo, di fatto, ha cambiato le cose. «Attualmente», si legge infatti nel paper Similarity and Nurturance: Two Possible Sources of Empathy for Strangers, «una delle spiegazioni più popolari tra gli psicologi sociali e della personalità è la somiglianza percepita: proviamo simpatia e compassione per gli altri nella misura in cui li percepiamo come noi». Non dovrebbe essere per forza così, dovremmo riuscire a provare empatia anche per chi vive in situazioni lontane dalla nostra, ma quando ci identifichiamo, a quanto pare, ci risulta più facile sentirci chiamati in causa.

Oltre a tutto questo c'è poi il fatto che il femminicidio di Cecchettin è accaduto proprio a pochi giorni dal 25 novembre, la Giornata internazionale contro la violenza di genere, un momento in cui, anche chi non si occupa costantemente di queste tematiche, tende a sentirsi in dovere di esprimersi sul punto come presa di posizione. Tuttavia, forse nemmeno questo sarebbe bastato a generare un'eco così forte se non fosse stato per Elena Cecchettin, la sorella di Giulia. Come spiega bene Annalisa Camilli su L'Essenziale, «È stata Elena Cecchettin a sorprendere tutti. Al termine di una fiaccolata, la ragazza di 24 anni, studente universitaria, ha preso la parola e ha fatto una cosa molto complicata: ha trasformato un dolore privato in una questione politica. Si è smarcata dal ruolo della vittima e ha assunto su di sé la responsabilità di un futuro cambiamento». Questo ha ribaltato le carte perché Elena è riuscita a invertire la narrazione, facendo sentire la sua voce, con un tempismo e una lucidità incredibili, in un momento in cui era impossibile silenziarla. Da quel momento, il dibattito si è spostato (per una volta e come dovrebbe essere sempre) non sui dettagli più macabri, non solo sul dolore dei parenti o sulla vita dell'omicida, ma su una critica al sistema che permette che cose del genere accadano ancora. Oggi si parla di cultura patriarcale, di responsabilità collettiva e individuale, di possibili soluzioni a breve e a lungo termine. È questa l'eccezionalità ed è questo il motivo per cui questa scintilla, per dare seguito alle parole di Elena Cecchettin, deve diventare fuoco.