«Partiamo dal presupposto che tutte le donne nella vita, tranne pochissime fortunate, si sono trovate in una situazione di abusi, di molestie o di violenze, nel peggiore dei casi». È la premessa di Malika Ayane la quale, in occasione dell'arrivo a Catania dell'iniziativa Il Petalo Bianco di cui è testimonial, riflette sul tema tanto delicato quanto mai come oggi attuale, della violenza di genere. Quanto mai oggi, e quanto mai in Italia, dove solo nell'ultimo anno sono stati registrati oltre cento femminicidi - e questi sono solo la punta di un terrificante iceberg di abusi domestici e mancanza di protezione per le donne vittime di molestie e minacce e soprusi.

Il Petalo Bianco, progetto promosso da Coin in collaborazione con l'associazione FARE X BENE, è un piccolo ma preziosissimo punto di luce nel panorama buio della violenza di genere in Italia, un'iniziativa innovativa che sostiene e aiuta concretamente le donne che subiscono abusi. Uno sportello di supporto psicologico, un luogo fisico e riservato, realizzato in un contesto “insospettabile” - all'interno dei department store Coin - dove chi si trova in difficoltà può recarsi liberamente e senza rischi per collegarsi virtualmente con un team di esperti pronti a fornire loro aiuto. Aperto a marzo 2021 nella Coin di V Giornate a Milano - dove, purtroppo o per fortuna, le donne che hanno chiesto aiuto sono state decine - dal 5 ottobre lo sportello è arrivato anche a Catania. E proprio dalla città siciliana si collega Malika per raccontare il progetto e il suo punto di vista sulla questione, così complessa e dolorosa. Per farlo, attraversa, forte della sua empatia e consapevolezza, un percorso di parole, potenti, evocative, difficili, per condividere come questi termini risuonano in lei.

Violenza.

«È curioso, perché ho appena partecipato a un seminario in cui si parlava della violenza come componente della natura umana. Ma non è questo il caso. Nell’accezione specifica, possiamo riconoscere violenza come una brutalità non richiesta causata da qualcun altro. Non è necessariamente fisica: è un’invasione, una prevaricazione di confini, anche psicologici».

Violenza degli uomini sulle donne.

«È quella che io detesto, è la cosa che mi fa più male. È quando si cerca di rendere l’altra persona un essere inerme, quando si cerca di manipolarla, di sminuirla fino al punto di farla sentire senza valore».

Delle donne sulle donne.

«Il giudizio sogghignato, il non credere, il pettegolezzo sulle sfighe degli altri. La partecipazione al dramma come spettatori superficiale».

Abuso.

«Questo mi fa venire in mente che c’è sempre una grande critica nei confronti delle donne che denunciano dopo tanto tempo. Ma la verità è che non sempre un abuso si riconosce facilmente, tante volte non ci accorgiamo che un abuso è tale, finché nel tempo non si sente un disturbo, un’inadeguatezza. Tea Hacic ha scritto di recente che tante volte da giovane le è capitato di essere stata abusata, senza rendersene conto, o magari addirittura negandolo. Il che si ricollega anche al prossimo concetto».

Sentirsi violate.

«Io questo lo cerchierei 100 volte perché spesso spostiamo un po’ più in là l’asticella, accettiamo sempre un po’ di più, e anche nell’abuso abbiamo come la necessità di una negazione razionale della violenza che stiamo subendo. Lasciamo radicare negli anni un limite, ma perché si arriva alla violenza fisica? Io penso che sia difficile trovare uno che dopo tre settimane che lo conosci ti molla due pizze. Ma è proprio l’escalation che noi permettiamo. Dobbiamo imparare a dire no grazie, forse è questo il primo passo verso un atteggiamento che ci rende meno abusabili. Anche se scontato magari, è davvero importante».

Lividi visibili.

«Il livido è brutto, è antiestetico, e quindi già di per sé comporta qualcosa da nascondere. Il livido secondo me è stato proprio fatto in natura perché nella sua bruttezza, è inevitabile collegarlo a una violenza subita. Anche la pelle risponde rompendosi».

Lividi invisibili.

«Sono i più dolorosi: sono i tremori, il panico di uscire di casa, l’impossibilità di guardare gli estranei negli occhi perché non si sa neanche dove si sia. La conclusione di uno shock, come essersi presi un’urlata. E torno lì, perché io voglio insistere sulla violenza psicologica, fatta di parole, di concetti, di manipolazioni».

Cicatrici.

«Le cicatrici sono diverse dai lividi: tante volte sono il segno di aver attraversato un momento terribile, una ferita, che è anche più profonda di un livido. Però le cicatrici si possono guardare anche sotto una luce positiva, un po’ come l'antica arte giapponese del Kintsugi, che ripara gli oggetti con l'0ro, rendendoli ancora più belli. Ci permettono di guardare indietro, e sì ci ricordano che è successo qualcosa di brutto, ma, magari anche di averlo passato».

Curarsi.

«Cura e attenzione sono le due chiavi, quello su cui focalizzarsi. Qui a Catania ho conosciuto le ragazze che lavorano da Coin e saranno proprio loro ad accogliere là le donne in cerca di aiuto: loro non vedono l’ora di prestare cura, sentono la responsabilità di accompagnare. Donne che si prendono cura di altre donne. Questo mi ha commosso».

Difendersi.

«Purtroppo la difesa mi fa pensare che ci sia già qualcosa di rotto, per cui ci si preclude quella parte bellissima e libera dell’abbandono, in cui si è più disposti e aperti alla vita. La difesa è un po’ uno stato di chiusura, è molto diversa dalla cura perché presuppone che qualcuno sia lì pronto a ferirci».

Protezione.

«La protezione invece è bella, va a braccetto con la fiducia, è ciò di cui c’è bisogno perché permette di abbassare la guardia. E non c’è niente di male a lasciarsi proteggere: sembra sempre che dobbiamo essere delle specie di valchirie o amazzoni, ma se ci si ama abbastanza e si è quindi in grado di riconoscere la natura delle relazioni, non c’è niente di male».

«Mi è successo…» e «L’ho visto succedere…».

«Io ho la fortuna di avere amiche meravigliose, tutte diverse tra loro, di provenienza diversa. E ogni volta che ci sediamo a tavola tra di noi ci accorgiamo che è tutto molto simile. Mi è capitato di accogliere nel cuore della notte amiche in fuga da situazioni fuori controllo, così com’è capitato a me di dover uscire di casa perché non sai mai il nervoso dove possa andare a sfociare. Mi è capitato di vedere in strada litigi folli, in mezzo ai quali mi sono buttata in mezzo e mi è capitato anche di essere quella che litigava in mezzo alla strada. Io penso sempre che il segreto di questo sia che qualcuno si fermi a chiedere cosa succede».

5 consigli alle donne.

«Ne ho solo uno: dobbiamo amarci da sole, perché questo ci permette di riconoscere la sanità di una relazione, di distinguere quello che è reale, duro, naturale, bello».

5 consigli agli uomini.

«E agli uomini consiglio altrettanto: perché forse se sapessero amarsi da soli, forse saprebbero riconoscere dove non abbia senso il discorso della prevaricazione, della prepotenza, del dominio, del controllo. Se tu ti ami abbastanza, non ne hai bisogno perché non hai bisogno di avere uno sfogo di insicurezza su qualcun altro. Se insegnassero agli uomini che possono piangere, cucire, cucinare e prendersi cura dei figli, che possono essere parti di tutto, se fossero più in contatto con le proprie fragilità e accettarle, e amarle».