Come la mettiamo che "Il posto della donna è in cucina", ma quando si tratta di chef le cose stanno diversamente? Nessuno, si sa, cucina bene come la mamma o la nonna eppure se guardiamo alle chef stellate ecco che la percentuale mondiale arriva solo al 4%. Dunque la domanda sorge spontanea: come siamo messe a sessismo nel mondo del food? Non bene, grazie. O meglio, qualche passo avanti si vede, ma gli stereotipi - da qualsiasi parte si voglia vedere la faccenda - permangono. Ma cerchiamo di fare il punto della situazione perché, dai cosiddetti "menu di cortesia" ai pregiudizi sulle clienti che hanno "palati più delicati" ce n'è - giusto per stare in tema - per tutti i gusti.

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Iniziamo subito con il problema della cosiddetta "segregazione verticale". Nonostante le enormi difficoltà di questo periodo, le donne nel mondo della ristorazione sono tante, preparate e competenti. Secondo il censimento Fipe dell'anno scorso in Italia, su 336 mila imprese di ristorazione circa una su tre è gestita da una donna. Non solo: del personale che lavora nella ristorazione (1,2 milioni di addetti) le donne sono più della metà (52%). "Oggi, le donne in cucina non sono più mosche bianche", racconta infatti a TPI la chef Vania Ghedini. "Al mio primo stage", ricorda "mi sono imbattuta in uno chef che me ne ha combinate di tutti i colori semplicemente perché ero una ragazza. Avrei potuto mollare, cambiare ristorante: ma la presi come una sfida". Il problema è che gli ostacoli sono tanti e molte chef non riescono ad arrivare ai piani alti: secondo la Guida Michelin le chef stellate nel mondo sono ancora troppo poche. In Francia, ad esempio, nella patria della nouvelle cuisine, su 621 cuochi stellati le donne sono appena 16. L’Italia in questo senso è messa un po' meglio e ha la più alta percentuale femminile: 45 su 367, oltre il 7%.

Non c'è però da fare i salti di gioia. Basta prendere alcune frasi pronunciate dal celebre cuoco Gianfranco Vissani per capire che gli stereotipi di genere nel mondo della ristorazione sono duri a morire anche in Italia: "Gestire una cucina per una donna è pesante", aveva dichiarato nel 2019, "Poi ci sono quella mascoline... Però una donna, una bella donna, che scende in cucina, noi la mettiamo sempre in pasticceria. È meno pesante, è più decorativa".

Se questo non bastasse, veniamo poi ai pregiudizi forse più comuni: quelli che riguardano le clienti. L'idea che esistano gusti "da donna" continua a persistere come se l'intero genere femminile fosse allineato nel preferire determinati cibi e vini. "A una degustazione di un produttore ligure", racconta su Vice la giornalista e food writer Giorgia Cannarella, "l’ho ascoltato dire che alle donne piacciono i vini aromatici molto più che agli uomini. Sosteneva anche che l'affermarsi delle note più smaccatamente aromatiche nei vini (quelle più dozzinali, sottintendeva lui) ci sia stato quando le donne hanno iniziato a bere vino più regolarmente". Del resto lo sappiamo anche noi che di queste credenze è pieno il mondo, ma hanno qualche fondamento scientifico? "Ricordo di aver chiesto a una prof. di chimica del gusto di Pollenzo se si fosse mai rilevata una differenza di palato per genere. La sua risposta fu no", scrive la giornalista. Eppure il livello di paternalismo arriva, come ben sappiamo, al punto di proporre alle donne dei menù senza prezzo e di consegnare la carta dei vini solo all'uomo.

sessismo nel mondo del food ecco gli stereotipi più dannosipinterest
Courtesy Photo Il Gusto Non Ha Genere

Insomma, di questi preconcetti c'è chi, giustamente, non ne può più: in occasione dell’8 marzo Mariachiara Montera consulente di content marketing e content creator, Rossana Borroni project manager e social advertising expert e Valentina Merzi illustratrice e fotografa hanno lanciato la campagna social #ilgustononhagenere per combattere i pregiudizi sul rapporto delle donne con cibo e vino. "Noi donne", spiegano elencando gli stereotipi più diffusi, "abbiamo 'gusti più delicati', 'ci piacciono i vini fruttati', 'odiamo l’aglio', e ancora: non paghiamo quando siamo al ristorante e non abbiamo molta fame. Se lavoriamo nel mondo del cibo, poi, le storie si moltiplicano: se siamo cuoche, siamo meno forti degli uomini. Se siamo sommelier, siamo meno esperte. Se siamo bariste, dobbiamo essere carine". L'idea per l'8 marzo è quella di condividere l'illustrazione di Valentina Merzi sui social per sensibilizzare a questo tema: "Liberiamoci dal sessismo a partire dall’attività più quotidiana che c’è: mangiare, e bere".

La cultura gastronomica è stata a lungo in mano alle donne che l'hanno tramandata di madre in figlia tra libri di ricette scritti a mano e pranzi di Natale. Solo quando l'enogastronomia è uscita dalla sfera privata è diventata "una cosa da uomini", ma non dev'essere per forza così. Il gusto non ha genere e il buon cibo e il buon vino dovrebbero essere occasione di incontro e sperimentazione al di là dei preconcetti.