Non diamo certo una notizia, dicendo che la Nuova Zelanda sotto la guida di Jacinda Arden, stia diventando un modello di buon governo, su tantissimi fronti. Dalla gestione della pandemia, alle tematiche ambientali, alla visione del sistema scolastico, come luogo in cui poter contare anche su un supporto psicologico ad hoc per bimbi in difficoltà, fino alla decisione storica di eleggere Nanaia Mahuta come prima ministra Maori del Paese, l'ex colonia britannica sta vivendo un momento d'oro, di progresso costante, ampliamento dei diritti civili, cura delle tematiche etniche e di genere. Viva! Tutto questo, però, non deve mettere in ombra il fatto che le wahine Maori vivano ancora oggi i pesanti effetti di secoli di ingiustizie sociali, fisiche, spirituali, economiche, politiche e culturali. Ne ha parlato sul "The Guardian" Tina Ngata, attivista e sostenitrice dei diritti delle popolazioni indigene, in un racconto che nasce proprio dall'esigenza di dire al mondo attenzione, se è vero che le cose stanno migliorando, non è altrettanto vero che i problemi siano spariti, anzi. Nello specifico, Ngata si riferisce ad un processo in corso, il "Mana Wāhine Kaupapa Inquiry", che dovrà verificare una serie di testimonianze che riportano una discriminazione sistemica e le ingiustizie a danno dei Maori, anche in un'ottica di strascichi degli effetti colonialismo inglese, che non ha certo dialogato con loro davanti a tè e pasticcini. Le accuse, presentate per la prima volta nel 1993 e diventate inchiesta solo nel 2018, sono, dunque, specchio di un pezzo della società frustrato, traumatizzato, emarginato

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I wahine Māori sono subito riconosciuti a livello globale per la loro leadership nel mondo accademico, negli affari, nella giustizia, nella difesa dell'ambiente e nell'istruzione, ma sono anche significativamente sottopagati per il loro lavoro, incontrano numerosi ostacoli a un'adeguata assistenza sanitaria e sociale e subiscono uno dei più alti tassi di incarcerazione femminile nel mondo. Ngata fa notare che se da un lato la Nuova Zelanda s'è distinta rispetto a tutti gli altri paesi del mondo per aver concesso il suffragio universale con donne comprese già nel 1893 "anche all'interno del movimento per il suffragio, le donne erano razzialmente oppresse, erano costrette a firmare accordi per i quali avrebbero dovuto rinunciare ai propri ancestrali segni sacri, per unirsi alla Temperance Christian Union, che ha, non a caso, guidato il movimento per il diritto di voto. La misoginia coloniale ha avuto un grande peso nelle decisioni sulla partizionne della terra nativa, privandone economicamente e politicamente le donne Māori. Lo status e i ruoli di wahine Māori erano, in molti modi, un anatema per la Gran Bretagna coloniale. La lente coloniale è davvero una lente misogina, oltre ad essere una lente suprematista bianca, e quindi le politiche e la legislazione che sono derivate da questa visione hanno posto le wahine Māori all'interno di stereotipi che hanno continuato a plasmare il nostro destino e quello dei nostri figli .

"Lo stupro - ci ricorda oggi Tina Ngata - ha caratterizzato la colonizzazione di Aotearoa in Nuova Zelanda nel corso della sua storia. È successo per mano dell'equipaggio di Cook. Avvenne come strumento delle guerre terrestri, a Rangiaowhia, a Parihaka, a Maungapōhatu. I nostri nonni furono ulteriormente esposte a violenze in tempo di guerra, sui campi di battaglia dell'Europa e del Nord Africa durante la seconda guerra mondiale, e se ne tornarono a casa senza alcun sostegno dalla corona che li aveva arruolati. Il trauma della guerra è stato poi inflitto alle donne e ai bambini a casa. I successivi cicli di dipendenza, violenza e aggressione sono stati intergenerazionali e aggravati da un sistema statale che non ha mai messo in piedi una rete di supporto efficace alle famiglie indigene. Tutto ciò deve essere preso in considerazione quando si considerano i modi specifici in cui la corona ha influenzato, per esempio, il benessere delle madri e delle donne maori in Nuova Zelanda. Le udienze imminenti, anche se in ritardo, porteranno alla superficie storie dolorose e potenti. Queste verità, una volta ascoltate, devono essere risolte con azioni che ripristinino la giustizia. Solo allora potremo sì tenere alta la testa come nazione progressista per i diritti delle donne.