C'è una sottile linea che unisce grassofobia e fitness. Sta lì e per lo più tendiamo a ignorarla: diamo per scontato che le palestre pubblicizzino corpi magri e scolpiti e che l'allenamento sia funzionale all'aspetto fisico, al volersi migliorare esteticamente. A volte, però, questo legame si manifesta, emerge in tutta la sua stortura: in questi giorni è stato il caso di Francesca, una TikToker che ha raccontato in lacrime la sua esperienza in palestra: mentre correva sul tapis roulant dei ragazzi hanno iniziato a guardarla, a imitarla e schernirla. «Mi hanno detto tutta la vita: vai in palestra cicciona. Poi ci vado e mi prendono in giro», ha detto visibilmente turbata, «Vi dico sempre che non dobbiamo aver paura di reagire, ma a volte non ce la faccio neanche io». A diventare oggetto di scrutinio in contesti legati al fitness sono le donne, sono i corpi con disabilità, quelli non conformi, quelli grassi. E così lo sport rimane un terreno di esclusione.

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«Mi sono accorta che c’era un gruppo di ragazzi di fronte a me. Mi guardavano, parlavano tra di loro e ridevano. Sono sicura che guardavano me perché non c’era tanta gente. Gonfiavano le guance», ha raccontato la ragazza, «Mi fate veramente schifo, non mi sono neanche lavata e ho preso le mie cose e me ne sono andata a casa perché non ci volevo più stare là dentro». Ha raccontato di voler cercare un'altra palestra ma di aver paura che succeda di nuovo: «È possibile che non ci sia un posto dove posso stare tranquilla?». Sui social, poi, dopo che il video è diventato virale si è trovata a dover rispondere a messaggi di chi commentava ulteriormente il suo corpo, dandole consigli su come perdere peso o contestando il suo approccio body positive come se fare contenuti sull'accettazione del proprio corpo bastasse per non rimanere feriti di fronte a un episodio violento.

In questo le palestre dovrebbero avere una responsabilità, ma spesso è l'impostazione alla base a renderle luoghi respingenti. «Gli istruttori di fitness», scrive Renee Englen nel suo libro Beauty Mania, «cadono di frequente nella trappola e, per motivare le allieve, ne sminuiscono l'aspetto fisico». Questo porta a episodi di discriminazioni e violenze, come mostrano diversi studi. «Fitness vs grasso è un binomio di emarginazione in palestra che deve ancora essere completamente esplorato», scrive Carlotta Ross nel suo paper Fitness v fatness? Bodies, boundaries and bias in the gym, «Ci sono studi che descrivono la palestra come un "paesaggio di esclusione" per i corpi disabili, riflettendo sulle esperienze travagliate di coloro i cui corpi potrebbero apparire o muoversi in modo non normativo. Le palestre sono state riconosciute anche come ambienti ostili per coloro che non si conformano alle norme di genere tradizionali, come gli uomini transgender e le donne cisgender bodybuilder. Queste esperienze mettono in discussione il modo in cui la palestra funziona come spazio per promuovere la salute a popolazioni diverse».

Alla base c'è una cultura che lega il benessere all'aspetto fisico rendendo la "vita sana" un obbligo morale legato alla magrezza e alla forza di volontà e giustificando così comportamenti violenti. «Il modo in cui parliamo dell'attività fisica - in particolare quella femminile», scrive Englen, «troppo spesso rafforza il concetto secondo cui essa serve principalmente a rendere il nostro corpo qualcosa di più attraente da sottoporre allo sguardo altrui».