Oggi è la giornata giusta per farlo. Rispolverate i vecchi dischi (o cercate su Spotify): Baby One More Time, Crazy, Toxic e tutte le vostre preferite. Ascoltatele a tutto volume. Ballate e cantate a squarciagola perché la vittoria di Britney oggi è un po' la vittoria di tutt* noi che con le sue hit, infondo, siamo cresciuti. Oggi, dopo 13 anni, un tribunale di Los Angeles ha stabilito che il padre di Britney, Jamie Spears, non sarà più il tutore legale della figlia con effetto immediato: smetterà di amministrare il suo patrimonio e di decidere della sua vita, della sua carriera e del suo corpo. Si apre una nuova fase: la tutela legale continua con un nuovo tutore, ma intanto bisogna festeggiare e ballare come ci immaginiamo stia facendo proprio adesso la nostra princess of pop.

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La vicenda di Britney negli anni è diventata un'epopea che racchiude al suo interno mille significati ancora non del tutto sviscerati. C'è la storia di una ragazzina prodigio, di una famiglia che l'ha supportata alla ricerca del successo. Ci sono gli anni della fama mondiale, del duro lavoro e dei fan pazzi per la sua musica e il suo stile. Poi c'è la visibilità data a una ragazza molto giovane e la narrazione che i media hanno gradualmente costruito su di lei: spesso non è facile scindere le due cose. Prima reginetta di perfezione, poi bad girl fuori controllo: di quegli anni rimane l'amarezza di vedere Britney ingabbiata tra mille etichette spesso e volentieri sessiste. Rimane il ricordo del suo primo break down, della sua testa rasata, di come non ci fosse alcun rispetto per la salute mentale, la sua ma anche in generale quella di tutti. La vicenda, però, ad un certo punto prende una piega ancora più inaspettata: nel 2008 arriva la conservatorship e Britney perde legalmente il controllo sulla sua vita, sul suo patrimonio e sui suoi figli.

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Alexi Rosenfeld//Getty Images
Un cartello #FreeBritney

Se a Jamie Spears non fosse stato concesso di gestire la vita di sua figlia come un business personale, se Britney non avesse avuto il coraggio di parlare e se non fosse nato il movimento #FreeBritney, non avremmo mai aperto il vaso di Pandora. Invece questa storia ci ha messo davanti agli occhi quanto fragile sia la libertà, specie - diciamolo - la libertà delle donne. Britney è stata costretta ad assumere farmaci contro la sua volontà, le è stato negato un avvocato e le è stato impedito di parlare con la stampa. Le hanno impedito di rimuovere la spirale intrauterina e quindi di avere un figlio nonostante lo desiderasse, le è stato vietato di sposarsi e di vedere i suoi figli quanto desiderava. Tutto questo mentre continuava a esibirsi e a guadagnare cifre astronomiche di cui lei non poteva disporre liberamente.

Tutto questo lo sappiamo dai racconti (agghiaccianti) che Britney ha fatto davanti al giudice lo scorso giugno, ma anche dai documentari che di recente hanno cercato di raccontare la loro versione della vicenda. Proprio in questi giorni su Netflix è uscito Britney vs Spears un ennesimo docufilm (come Framing Britney Spears su Hulu e Toxic: Britney Spears’ Battle for Freedom sulla CNN) che ha lo scopo di fare luce sugli abusi della conservatorship e di Jamie Spears. Britney, però, non ha approvato. «Questo è un altro documentario non autorizzato senza la sua benedizione o partecipazione» si legge nel comunicato dei suoi legali e il punto forse non è più tanto quello che la regista Erin Lee Carr ha scelto di mostrare o non mostrare: dopo 13 anni Britney vuole semplicemente riappropriarsi non solo della sua vita, ma anche della sua storia e poter finalmente ricominciare a raccontarla a modo suo e con la sua voce. Oggi è stato fatto il primo passo in questa direzione: noi saremo qui ad aspettarla.