Roma, quartiere Tuscolano, nei pressi di Cinecittà, c'è una palazzina del 1926, di proprietà dell'Atac. Un tempo era un luogo disabitato, oggi è un luogo di resistenza, di quella resistenza che crede in un futuro diverso e allo stesso tempo sa bene che, senza un impegno in prima persona - anche nel piccolo, nel giorno per giorno, nelle pratiche quotidiane - il cambiamento rimarrà illusione teorica per intellettuali. Fuori c'è un cartello "Lucha y Siesta Casa delle donne" e dietro a questo nome c'è uno spazio di autodeterminazione, di libertà (ricercata, costruita, difesa), un progetto che accoglie, ascolta, forma e sostiene le donne in difficoltà, un luogo di incontro e di scambio culturale, un baluardo di lotta transfemminista. Già, un baluardo, perché, da che mondo è mondo, gli spazi femministi di autoaiuto sono marginali e marginalizzati, spesso dimenticati dalle istituzioni, enclavi di resistenza ai poteri riconosciuti. Per anni Lucha y Siesta ha rischiato di venire smantellata, per anni ha lottato con il Comune di Roma: aste, minacce di sgombero in nome del decoro, sopralluoghi, tagli delle utenze, oggi tutto questo potrebbe avere finalmente una fine. La Regione Lazio si è aggiudicata l'immobile in via Lucio Sestio vincendo l'asta del 5 agosto scorso, diventerà bene comune, ma, come scrivono le attiviste, è solo un (ormai doveroso) riconoscimento formale: Lucha y Siesta era già di tutt*, era già nostra.

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"È un giorno speciale per tutte le donne per le quali Lucha è stata casa, per le bambine e i bambini che qui sono cresciuti, per le attiviste che in Lucha hanno sempre creduto", commentano le attiviste, "Oggi scriviamo insieme un pezzetto di storia delle donne e di tutte le soggettività. Lucha y Siesta non è più a rischio di essere svenduta ed entra in una nuova fase in cui finalmente può essere restituita alla città". È il momento di guardarsi indietro al 2008 quando il progetto ha preso vita: “Ci siamo resi conto durante il nostro servizio di ascolto agli sportelli Action che arrivavano a chiederci consigli e ad esporci i loro problemi moltissime donne”, aveva spiegato a Redattore Sociale, una delle ragazze attive nell'associazione, "Ma le donne, soprattutto sole o con figli a carico non hanno alcuna agevolazione nelle classifiche Erp (Edilizia residenziale pubblica). Ci siamo quindi mossi per dare loro una casa”. Da allora tantissime donne hanno ricevuto aiuto, assistenza, alloggio per uscire da situazioni difficili o di violenza, ma, più il progetto diventava prezioso per la città e radicato nel territorio, più il rischio di sgombero si faceva concreto. Nel settembre 2019, infatti, il tribunale fallimentare aveva comunicato che l’edificio sarebbe stato messo all’asta, il Comune di Roma aveva iniziato la sua battaglia per accelerare le procedure e il destino della Casa sembrava segnato. In poche parole l'Atac era sommerso dai debiti e svendeva il suo patrimonio.

la casa delle donne lucha y siesta è salva e questa è un'ottima notiziapinterest
ANDREAS SOLARO//Getty Images

Con circa un femminicidio ogni tre giorni e la pandemia che ha aggravato drammaticamente la situazione, è evidente che non possiamo permetterci di perdere realtà che forniscono aiuto concreto alle donne. Come fa notare a cadenza regolare ActionAid, la gestione dei fondi a favore dei Centri Antiviolenza è spesso poco chiara, caratterizzata da ritardi e dispersioni con il coinvolgimento di realtà che con le donne non hanno molto a che fare. Per questo la scelta della regione di salvare Lucha y Siesta è così importante: riconosce valore a anni e anni di lavoro socio-culturale a fianco delle donne rendendo la Casa "un luogo con un futuro oggi più sereno, in cui agire un ruolo protagonista nella progettazione partecipata per un bene comune femminista e transfemminista, assieme al Comitato Lucha alla città".

Il governatore del Lazio Nicola Zingaretti ha ringraziato le attiviste "per il coraggio e per l'impegno di ogni giorno", e ha aggiunto "Abbiamo salvato Lucha y Siesta, una grande esperienza di protagonismo delle donne e lotta alla violenza di genere. Un patrimonio di tutta Roma e della nostra comunità. Lo abbiamo fatto perché è ipocrita riempirsi la bocca della parola diritti e solidarietà e poi assistere senza fare nulla alla chiusura dei servizi". Il futuro è transfemminista, e oggi un po' di più.