"Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire quattrocentomila" ecco cosa c'era scritto nero su bianco nel nostro Codice Penale fino al 1971. Niente contraccettivi: nope, nein, nada. Al massimo in vecchio coito interrotto. Incredibile no? Pillola e preservativi non erano legali e lo stesso valeva per opuscoli che facessero "propaganda" in questo senso. L'aborto, poi, avrebbe dovuto aspettare ancora 7 anni prima di venire depenalizzato dunque basta fare due conti per capire che il grosso della fregatura ricadeva as usual sulle spalle di chi possedeva un utero. Per questo, quando l'Italia ha finalmente legalizzato i contraccettivi nel marzo del 1971, si è trattato di una vera e propria vittoria in primis femminile e femminista.

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Sono passati cinquant'anni da quando le pressioni delll’Associazione italiana per l’educazione demografica, del partito radicale e dei movimenti femministi sono riusciti a scardinare questo tabù. Se ci pensiamo, cinquant'anni non sono certo tanti e fanno pensare a quanta strada è stata fatta e ci sia ancora da fare per tutelare la salute riproduttiva e la libertà delle donne di decidere del proprio corpo. La storia della pillola anticoncezionale, in particolare, è emblematica di quanto i corpi femminili siano da sempre terreno di scontro politico. Negli Stati Uniti la pillola - sviluppata dal biologo Gregory Pincus e dal medico John Rock su spinta dell’attivista Margaret Sanger e dell’ereditiera Katherine McCormick - era già in commercio dal 1960, in Italia invece era possibile acquistarla dal 1967, ma solo per fini terapeutici e preferibilmente dalle donne sposate. "Democristiani e comunisti, che rappresentavano i partiti maggioritari, facevano finta di non vedere questioni come questa e l’aborto, per evitare scossoni alla morale comune", spiega a Wired Mario Puiatti presidente dell'Aied, "Il nostro merito fu di sensibilizzare l’opinione pubblica con dibattiti e cortei". Eppure, anche quando i contraccettivi vennero legalizzati, sulla pillola rimase il veto: le farmacie non la potevano vendere se non per "regolarizzare il ciclo" e si sarebbe dovuto attendere il 1976 per la liberalizzazione totale.

Secondo l'ISTAT, il 62% degli italiani tra i 18 e i 54 anni usa almeno un metodo anticoncezionale

L'avvento della contraccezione è stato un punto di svolta per le donne e chiunque avesse un sistema riproduttivo femminile, non solo rivoluzionando il loro modo di vivere la sessualità, ma anche dando loro la possibilità di prendere decisioni sul loro corpo e pianificare così i propri sogni e obiettivi di vita. Oggi, secondo l'ISTAT, il 62% degli italiani tra i 18 e i 54 anni usa almeno un metodo anticoncezionale. Ormai ne esistono per tutti i gusti: dal cerotto all'anello, dalla spirale al diaframma e aumenta la richiesta di nuovi metodi anticoncezionali "maschili" dato che - fortunatamente - la pianificazione della gravidanza è sempre più vista come una questione di coppia che non dovrebbe gravare unicamente su chi possiede utero e ovaie.

Ad oggi il metodo più diffuso è il preservativo (che è anche l’unico a protegge dalle infezioni sessualmente trasmissibili) seguito dalla pillola. Eppure, secondo l'ISTAT, il 18,7% delle coppie italiane ricorre ancora al coito interrotto (che non è un metodo contraccettivo efficace e ha un'altra percentuale di rischio) segno che c'è ancora ampio margine di miglioramento. Del resto, a confermarlo è il Contraception Atlas 2019 che misura l’accesso alla contraccezionein 45 Stati dell’Europa geografica: l’Italia si colloca al ventiseiesimo posto con un punteggio del 57,9%. "Nonostante un maggior ricorso a metodi moderni", si legge nel report ISTAT, "non si può ancora affermare che in Italia sia stata compiuta in modo definitivo la 'rivoluzione' contraccettiva, intesa come transizione verso una diffusione estesa di metodi moderni ed efficaci". I contraccettivi in Italia sono costosi e le forme di distribuzione gratuita o di rimborso sono disomogenee e poco chiare (al momento questi servizi sono previsti solo in sei regioni: Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia e Toscana). Manca anche una diffusione chiara e accessibile delle informazioni sulla salute sessuale e la situazione è aggravata dalla totale mancanza di educazione sessuale nelle scuole. Dobbiamo continuare giorno per giorno a portare avanti ciò che è stato iniziato.

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Elisabetta Moro

Nata a Padova, vivo tra Londra e Milano. Dopo la laurea in Giurisprudenza, mi sono specializzata in Studi di Genere con un Master in Women’s Studies nel Regno Unito. Oggi scrivo di attualità, costume e pop culture, focalizzandomi in particolare su tematiche legate al femminismo, alle questioni di genere e ai diritti civili.