Un principe della casata Windsor seduto nel banco dei testimoni non è una cosa che si vede tutti i giorni. Il principe Harry, parte lesa nella causa contro il gruppo editoriale Mirror Newspaper Group (alla barra degli imputati per aver intercettato illegalmente conversazioni e informazioni private al fine di pubblicarle sulle proprie testate in esclusiva), sta facendo la storia. Certo, Harry aveva già sollevato il velo di discrezione e segreti che, per oltre 70 anni, la nonna Elisabetta II aveva sapientemente poggiato sugli affari di famiglia. Tra interviste, libri e documentari, negli ultimi anni il duca di Sussex ha rivelato una mole di segreti, verità e accuse sulla sua famiglia e sui rapporti con la stampa britannica non indifferente. Il fatto che ora abbia deciso di farlo davanti a un giudice per avvalorare la tesi che porta avanti da sempre, ovvero che una certa stampa gli ha rovinato la vita, ha distrutto quella di sua madre e ha teso diverse trappole anche a sua moglie Meghan Markle, è un evento senza precedenti.

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Harry in tribunale

Nel primo giorno di udienza del 6 giugno, il principe Harry è sembrato però ripetere, vittima del suo stesso incantesimo, le solite accuse che va dicendo da anni: i giornalisti lo perseguitano, non vuole che sua moglie faccia la fine della madre Diana, in diverse occasioni i leak (ovvero fughe di notizie sospette e non approvate) hanno fatto finire sulle prime pagine dei giornali eventi privati della sua vita di cui solo poche persone erano al corrente. E infatti l'avvocato della difesa che lo ha interrogato, Mr. Green, lo ha incalzato più volte per arrivare alla conclusione che quanto portato in tribunale da Harry come prova, in realtà è frutto dei suoi tormenti e di una mania di persecuzione che non lo lascia andare. In più di un'occasione, stremato dalle domande e dalle opposizioni dell'avvocato, Harry ha dovuto ammettere di «non ricordare», di non essere sicuro di quanto affermato in ben 55 pagine di una deposizione supportata da oltre 30 articoli scritti nei primi anni Duemila dai giornalisti che sarebbero coinvolti nelle intercettazioni illegali.

Anche Spare, la biografia di Harry uscita a gennaio, è diventata una prova: solo che è labile, ancora una volta piena delle crepe di una memoria influenzata dalla percezione, dal vissuto familiare, dai temi irrisolti che il principe si porta con sé dalla morte della madre, nel 1997. Insomma, in tribunale il duca di Sussex è apparso poco attendibile, teso e nervoso, affatto risoluto e per niente convinto delle prove che ha sempre dichiarato essere la fonte del suo malessere. Ed è un peccato: d'altronde è probabile - anzi, in alcuni casi c'è stata proprio l'ammissione dei diretti interessati - che il Mirror, così come altri tabloid britannici, abbiano usato metodi poco ortodossi per ottenere informazioni, in passato e più di recente. Harry non soffre di manie di persecuzione, è stato (ed è ancora) senz'altro un bersaglio mobile per la stampa. Ragione per cui ha sempre desiderato fuggire da Londra, come ha detto in diverse occasioni per sollevare la moglie, Meghan Markle, dalla responsabilità di averlo convinto a mollare la famiglia reale.

Le sue convinzioni, che a tutti sono parse fortissime nei salotti televisivi dei conduttori più blasonati o tra le pagine di Spare, sembrano uscire a pezzi in un'aula di tribunale, con un avvocato pronto a tutto pur di vincere e lo scrutinio del pubblico incollato addosso. Appare evidente che per lui sia fondamentale vincere questa causa, sublimazione di anni di battaglie contro un certo modo di fare gossip e informazione e forse anche rivalsa nei confronti di sua madre Diana, eroina tragica morta, dal suo punto di vista, per colpa dei paparazzi. Non è detto, però, che ciò accada. Tutto è nelle mani di Harry, principe-testimone, a cui però bisogna dare il merito di essersi esposto, in una modalità coraggiosa, per una causa cui, di fatto, ha dedicato la sua intera vita. Non sappiamo se auguragli di vincere o di perdere: impossibile dire quale dei due esiti potrà farlo stare davvero meglio.