Calato il sipario sulla settimana della moda di Milano è arrivato il momento di tirare le somme sulle dinamiche emerse durante il terzo atto del mese dedicato alle collezioni PE 2024. Mentre sul lato dell’inclusione emerge chiaramente che in Italia c’è ancora un problema con la rappresentazione dei diversi tipi di corpi sulle passerelle, alcuni eventi del calendario hanno acceso la discussione sul ruolo dei progetti indipendenti protagonisti della scena Made in Italy. A sollevare la questione è stato, in particolare, un articolo scritto da Robert Williams e pubblicato da Business of Fashion che evidenzia come i brand di nuova generazione con base nel Belpaese stiano «guadagnando terreno».

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Dalla collezione primavera estate 2024 di The Attico.

Sebbene l'attenzione di addetti al settore e appassionati durante l'ultimo calendario milanese sia stata ancora indiscutibilmente incentrata su grandi marchi come Gucci e Prada, sfilate come quelle di Sunnei e The Attico, brand rispettivamente nati nel 2014 e nel 2016 dalle visioni creative di Simone Rizzo e Loris Messina e di Gilda Ambrosio e Giorgia Tordini, sono riuscite ad attirare i riflettori su di sé. Il primo ha invitato gli ospiti dello show a votare le uscite della collezione scrivendo un numero da zero a 10 su delle palette, mentre le donne del secondo sono scese dal proprio appartamento di lusso dell'ultimo piano per conquistare le strade del centro meneghino.

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Dalla collezione primavera estate 2024 di Sunnei.

Per quanto riguarda la moda maschile, invece, nell'articolo di BoF vengono menzionati come esempi i brand di Setchu Satoshi Kawata e Luca "Luchino" Magliano, vincitori in due categorie dell'annuale premio LVMH. L'uno giapponese, con un passato vissuto tra Parigi, Londra e New York, e l'altro notoriamente bolognese, hanno basato i propri brand sui valori di tradizione (narrativa, artigianale, sartoriale) e qualità. Di conseguenza, l'Italia si rivela un ambiente nettamente favorevole al loro sviluppo, in quanto sono «la vicinanza ai fornitori e un solido ecosistema di negozi di lusso multi-marca» che «spesso incoraggiano i marchi a costruire la loro attività».

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Dalla collezione primavera estate 2024 di Magliano.

Secondo Williams, una delle principali ragioni del successo dei brand indipendenti italiani è riconducibile alla (ri)scoperta dei prodotti in quanto «gli acquirenti, i rivenditori e persino designer e giornalisti si stanno stancando dell'attenzione all'immagine e al branding alimentata dai social media». Anche il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana (CNMI) Carlo Capasa ha commentato questo aspetto: «alla gente piace sapere che dietro questi marchi c'è un prodotto vero, un'azienda vera», ha detto a BoF, «alcuni sono stanchi di entusiasmarsi per un brand che sa come vendere il sogno ma non lo trasforma mai in qualcosa di reale». Un'altra motivazione, in accordo con quanto asserito dalla fondatrice dell'agenzia di comunicazione Reference Studios Mumi Haiati, è che da Magliano a Marco Rambaldi e a Jezabelle Cormio molti giovani designer italiani presentano un immaginario ricco di suggestioni Y2k che ha permesso loro di cavalcare le tendenze dell'ultimo biennio.

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Dalla collezione primavera estate 2024 di Cormio.

Altri nomi da segnare, tra i brand italiani che si inseriscono in questo scenario, sono quelli di Quira, di Veronica Leoni, terzo marchio italiano a classificarsi tra i finalisti del LVMH Prize; di Andreadamo, annunciato tra i sei designer candidati alla vittoria del premio Andam; di Federico Cina; Florania di Flora Rabitti e molti altri nuovi progetti che si sono distinti per un immaginario inedito, unico e riconoscibile. Il problema subentra nel momento in cui, come spiega Giuliana Matarrese in un articolo apparso su Dust, si realizza che in Italia c'è una grande «mancanza di consapevolezza riguardo all’influenza pervasiva della moda sulla cultura e al suo impatto significativo sull’economia, anche tra i segmenti più istruiti della società», che risulta direttamente riconducibile a un insufficiente supporto da parte di giornalisti, buyer, PR e istituzioni e rende «difficile prevedere un approccio proattivo nei confronti della generazione emergente di designer».

In conclusione, ogni cosa nella scena dimostra come ci siano tutte le premesse creative per lasciar fiorire la nuova generazione di designer e progetti italiani. Quello che deve ancora arrivare è un ulteriore sostegno – sia Williams che Matarrese menzionano nei loro pezzi le iniziative di CNMI, su tutti i fronti.