Una delle più grandi colpe attribuite all’industria della moda, specialmente dopo la tragedia del Rana Plaza nel 2013, riguarda la mancanza di trasparenza. Una parola scomoda per molte aziende se si pensa che, viste le risorse economiche, non hanno scuse, ma che grazie alla tendenza planet-care esplosa durante il periodo di lockdown potrebbe essere arrivata a un punto di svolta. Mentre start-up e sustain-tech mettono a punto sempre nuove tecniche di sviluppo e il consumatore medio è sempre più interessato all’intero ciclo produttivo di un capo o di un accessorio piuttosto che fermarsi al «Made in, la rivoluzione comincia allora dall’etichetta: se è possibile conoscere ogni singola tappa del cibo in scatola che compriamo al supermercato, perché non dovrebbe essere la stessa cosa per un abito che «metteremo addosso»?

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È questa la domanda-simbolo dell’ultimo passo avanti compiuto nel percorso che conduce a un sistema davvero etico e sostenibile. Aggiungete un posto a tavola tra le belle notizie del 2021: a dicembre un brand di scarpe sostenibili based in Nashville, Tennessee, ha presentato l’etichetta Sustainability Facts Label ispirata alle tabelle nutrizionali riportate sul retro dei prodotti alimentari. Il marchio statunitense si chiama Nisolo e si inserisce sulla scia della tag NFC (la stessa tecnologia che consente di effettuare un pagamento contactless) lanciata nel 2019 da Sheep.Inc per tracciare tutte le fasi della filiera tramite app e di tutte le iniziative successive, che però si sono dimostrate sempre un po’ macchinose/complicate.

Tendenza sostenibile: la moda deve imparare dalle etichette alimentari?

La differenza è che, ispirandosi ai dati nutrizionali dei cibi che compriamo al supermercato, l’etichetta ideata da Nisolo fornisce (anche con QR code) uno spettro completo di informazioni che non solo è più immediato, ma risulta anche più «familiare» e ovviamente fornisce al consumatore tutti gli strumenti per valutare l’impatto ambientale di un prodotto. Proteine, calorie e carboidrati vengono sostituiti da due macro-categorie, «People» e «Planet», che misurano in percentuale 12 aspetti produttivi come il salario dei lavoratori, «healthy and safety», «gender equality and empowerment» o come le emissioni di CO2. Il tutto basandosi sui dati di oltre 31 fonti come Good on You, Higg e Textile Exchange, e di una propria ricerca condotta di pari passo.

Intervistato da Dana Thomas, il CEO di Nisolo Patrick Woodyard ha raccontato che ci sono voluti tre anni e un investimento di 500mila dollari per sviluppare il progetto Sustainability Facts Label. Ora il software è disponibile gratuitamente e l’obiettivo rimane quello di alzare il valore della trasparenza a un livello senza precedenti per sensibilizzare i marchi di moda a lavorare sui propri punti deboli e al contempo responsabilizzare i consumatori. Il prossimo step? Come ha dichiarato Dilys Williams, professore del Center for Sustainable Fashionpresso la University of Arts di Londra all’autrice di Fashionopolis, arriverà un momento in cui, anche nel mondo della moda, useranno tutti uno stesso «formato». Per il momento, quello di Nisolo ci sembra un ottimo candidato.