Angelica Schiatti si presenta all’intervista con grandi occhiali ambrati sugli occhi. Deve nasconderli perché hanno dentro fiumi di lacrime. È appena mancato suo padre e la sua bellezza è avvolta da una grande tristezza, ma ha scelto di non fermarsi perché: «È quello che avrebbe voluto lui». L’8 marzo, nel giorno della Festa delle donne, esce il suo nuovo album Sconosciuti Superstar per Factory Flaws, distribuito da The Orchard.

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È il suo terzo disco ed esce nello stesso giorno del primo: «Mi piacciono le ricorrenze». Undici tracce in un percorso liberatorio, dalla rabbia alla liberazione, si sentono i suoni che le piacciono, c’è il racconto di quando si tocca il fondo e si trova il modo di risalire. Si sfoga l’odio, e il riferimento alla storia con Morgan, accusato di stalking e diffamazione per fatti avvenuti tra aprile e dicembre 2020, con un procedimento ancora in corso, è chiaro. C’è la confusione di un periodo difficile che si trasforma in serenità, viaggiando tra chitarre distorte, synth e testi intimi nati prevalentemente nel suo studio della casa di Bologna, dove vive con Calcutta, il cantautore romano che ha partecipato alla scrittura di “Sconosciuti Superstar”, “SOS” e “Me lo tengo per me”, nonché alla produzione, insieme a Golden Years di “Surfare” e “Me lo tengo per me”. È un viaggio liberatorio tra ballate e disco, che trasmette leggerezza e permette di entrare in contatto con l’anima di una cantautrice elegante.


Perché Sconosciuti Superstar?

«Se non fosse stato troppo lungo per il grafico avrei chiamato il disco "Democristiani Sconosciuti Superstar" usando tutta la frase del brano omonimo. Quando ho scritto quella canzone mi si è illuminata una strada, ho capito che la direzione del disco sarebbe stata guidata da queste parole. In questo mondo un po’ superficiale che, se non stiamo attenti, porta a sentirsi delle superstar ci muoviamo come sull’altalena, per non sentirci delle merde. Per compensare una mancanza di equilibrio si tende ad esagerare in un senso o nell’altro ma il fatto è che non siamo né sconosciuti, né superstar».

Come è nato il disco?

«Ho iniziato a scrivere tutte le canzoni in solitudine. Non era una solitudine triste, ma eravamo ancora in asset pandemico, ero più portata a stare da sola e la scrittura ne ha goduto in libertà, senza nessuna interferenza. Poi mi sono trasferita a Bologna e lì ho il mio studio e per fortuna non si lavora da soli. Sono intervenute altre mani sia nella produzione sia nella scrittura».

Nel disco c'è Calcutta, il tuo fidanzato.

«La collaborazione è nata molto spontaneamente perché Pietro Paroletti, che ha prodotto gran parte di questo disco è diventato un amico e anziché stare a Roma è venuto a Bologna. A casa abbiamo due studi, il mio e quello di Edoardo, c’è quindi tanta strumentazione. Veniva Pietro e lavoravamo noi due, ma poi come è normale tra amici, ci siamo trovati tutti e tre. Una situazione bellissima. Edoardo ha fatto qualche incursione, non tantissime, perché a volte neanche c’era. “Surfare” per esempio l’abbiamo registrata con un registratore a casette, di notte dopo aver visto una partita, come esperimento e poi è rimasta così».

Vi supportate reciprocamente nella musica?

«Sì, ma direi in generale. Non c’è una divisione secondo me».

Nelle canzoni si sente la rabbia.

«Ero molto arrabbiata, ma sono contenta di aver trovato una chiave per buttarla fuori. Anche se a volte l’apparenza inganna io di indole sono molto timida, dolce con le persone a cui voglio bene. Anche stronza, ma sono contenta di aver trovato un canale per la rabbia e per le cose brutte, riuscendo ad avere un dialogo con me stessa, parlando anche di cose molto intime, ma vestendole di leggerezza. Non sopporto la superficialità, ma mi fa fatica anche l’eccessiva pesantezza. Sono due estremi che non mi appartengono. Quindi sono contenta, mi sono sfogata, ma il disco è leggero».

Ricorre spesso il tema del toccare il fondo, ci sono le lacrime.

«C’è tanta acqua anche. Quando sogno l’acqua la lego sempre al mio inconscio. Ho passato momenti a sognare tsunami di onde altissime che non riuscivo a gestire, così come a volte ho sognato acqua limpidissima e calma. In questo disco c’è tanta acqua perché ho ascoltato il mio inconscio e le mie emozioni e sì, ho toccato il fondo. Non c’è stato un momento particolare, ma sento di averlo fatto. E l’ho scavato. Ma è stato meno peggio di quello che pensassi».

Cioè?

«In passato ho sempre avuto molta paura di stare male, avevo paura di approcciarmi a certe emozioni. Scappavo, anche per l’insicurezza di non essere in grado di affrontare certe cose. E invece quando la vita te le mette davanti non hai alternativa. Puoi solo affrontarle. Ho vissuto situazioni che non pensavo non solo di riuscire ad affrontare ma che neanche che avrei mai dovuto vivere. Mi sono ritrovata più forte, ho vinto contro le mie insicurezze».

Ce l’hai fatta da sola?

«Ho fatto tanta analisi, la mia psicologa è stata un elemento chiave. Ma anche le persone che ho accanto, il mio compagno, ho chiesto aiuto e credo sia forza anche quella».

In “Grazie a te” la rabbia è tantissima, è odio. Viene spontaneo pensare a quello che hai vissuto con Morgan.

«Si tratta di una situazione molto dolorosa che sta andando avanti nelle sedi competenti. È una situazione che è degenerata, è un quadro molto complesso e brutto. Sono una persona che cerca di evolversi e ci sono riuscita. Questa canzone mi è servita proprio a questo. Tutto quello che ti succede nella vita ha un significato e ti porta un bagaglio. Devi essere in grado tu di svuotarlo. Con questa canzone mi sono liberata».

Esce l’8 marzo, nella Festa delle donne.

«Sarebbe bello di non avere bisogno di giornate così, ma sono ricorrenze fondamentali. Il mio primo disco era uscito lo stesso giorno e mi piacciono le ricorrenze, ma anche dal punto di vista di una donna nel contesto musicale italiano, dove è inutile girarci intorno, è tutto molto difficile, iper giudicante, chiuso, mi è sembrata una data importante. A breve uscirà il video di "Acqua ossigenata" e non ho pensato a come vestirmi o svestirmi. Sono finalmente libera anche in questo».

Il disco esce a pochi giorni e tuo papà non c’è più…

«”Bye Bye” parla di lui. Ci sono tanti rimandi. C’è una frase che mi aveva detto lui in “Me lo tengo per me”. Mio papà lo sento comunque vicino».