Inizia giovedì 14 settembre la serie La voce che hai dentro, fiction prodotta da Lucky Red per RTI con Massimo Ranieri. Otto episodi, per quattro prime serate, che raccontano la storia di Michele Ferrara, proprietario della grande casa discografica Partenope Edizioni Musicali. Arrestato dieci anni per l’omicidio del padre, da cui si dichiara innocente, si ritrova libero, con il desiderio di rilanciare la sua attività e non cedere alle pressioni dei “nemici”. Lo fa con la giovane trapper Regina, interpretata da uno dei nomi più interessanti della scena napoletana attuale: La Niña.

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All’anagrafe è Carola Moccia, artista classe '91 originaria di San Giorgio a Cremano, vicino a Napoli. Canta, scrive, produce. Ex ballerina, si occupa delle sue stesse coreografie e da forma al suo progetto con una cura che segue l’istinto. Lo fa insieme a Alfredo Maddaluno, in arte KWSK NINJA, suo direttore artistico e videomaker, con cui sta da undici anni e a cui si affida per l’estrema ricerca estetica di ogni suo lavoro. L’ultimo si intitola Vanitas. C’è un po’ di lei nel personaggio che interpreta, c’è la stessa fatica che si fa per emergere e la capacità di dire quello che si pensa, andando dritti verso il proprio obiettivo. Ma soprattutto c’è la capacità di mettersi in gioco, sfidando le proprie capacità e imparando a fidarsi degli altri per sperimentare territori inesplorati come la recitazione, sapendo che quando le telecamere si spengono, la musica resta.

Come sei diventata Regina?

«Tutto è iniziato con un messaggio in cui mi chiedevano di interpretarla. Ho detto subito no. Non me la sentivo, non sono un’attrice professionista, ho amici attori che studiano in accademia da quindici anni. Non volevo fare brutta figura in prima serata. Ma è stato quando mi ha telefonato il regista Eros Puglielli che ho deciso di provare. Ha visto in me qualcosa che io non potevo vedere. Ho deciso di affidarmi al suo giudizio. Chiedendo però di mettermi alla prova per capire se fossi in grado».

Quindi valeva la pena buttarsi?

«Ho imparato che l’umiltà è sempre un’alleata nelle scelte. Ho avuto bisogno di conferme, prima di buttarmi. Ho imparato che vale la pena fidarsi di chi ne sa più di te, apprezzando il lavoro di squadra. Recuperare la collettività dell’arte mi mancava molto, nella musica lavoro molto da sola. Siamo io e il mio produttore».

Hai lavorato accanto a Massimo Ranieri.

«Ed è stato bellissimo lavorare con lui. Uno dei motivi per cui è stato così facile lavorare sul set è stato lui, la sua professionalità, la sua grande umanità».

Chi è Regina?

«Una ragazza molto arrabbiata. È un personaggio ferito, dalla famiglia, dal padre che l’ha abbandonata, dalla mamma che non c’è più. Ha vissuto molti traumi, è sola. E per questo mostra un’irruenza che diventa rabbia. Ma è molto onesta, coerente con se stessa e molto libera come donna. Consapevole della sua femminilità e sessualità, che vive con estrema libertà. In questo mi assomiglia, anche io vivo i rapporti umani in modo libero».

In cosa invece siete diverse?

«Non sono irruente come lei, ma sono schietta. Non ho la sua rabbia né la sua maleducazione. Dice cose che non direi mai. E forse sono anche meno immatura».

Carola e La Niña chi sono?

«Per fortuna sono tutt’uno con quello che faccio. Carola e La Niña sono la stessa cosa. Ho voluto azzerare la distanza tra quello che sono nella vita quotidiana e quello che sono sul palco. Sono in un momento di crescita molto cruciale. Sto diventando adulta, con tutte le responsabilità che questo comporta. E nel lavoro vivo la musica in modo più cerebrale. Cerco di guardarmi da fuori per analizzarmi, per avere uno sguardo obiettivo su di me».

E cosa vedi?

«Una donna che cerca di restare bambina ogni giorno. L’infanzia è andata via, ma io cerco di mantenere il gioco nella mia quotidianità. Lo faccio con il mio compagno, lo faccio nella musica che quando diventa un lavoro diventa seria. È importante ricordarsi in ogni momento del bambino che si era, per crescere bene. Vorrei tenere salda quella verità incontaminata. Non voglio fare l’errore di dimenticare com’ero. Crescere è difficile».

Difficile è anche il mondo della musica. Nella serie vedremo le fatiche di un’artista emergente. Le tue quali sono?

«Sarà banale, ma come donna ho fatto fatica a farmi spazio. Ho vissuto lo stupore di chi, in quanto donna, non pensava potessi davvero scrivere, produrre o creare le mie coreografie. Quando lo fa un uomo non si stupisce nessuno. Ci sono molte cose nel sistema discografico, ma vale per tutti gli ambiti lavorativi, che rendono tutto molto complesso, se non sei disposto a fare compromessi di un certo tipo. Essere felicemente fidanzata da undici anni è sempre stato un deterrente».

Hai subito pressioni?

«C’è sempre una parte di erotismo nelle relazioni, ti accorgi presto che chi si avvicina lo fa per altri motivi che non riguardano la musica. Ho dovuto più volte rendermi conto tristemente che si erano avvicinati per altro. Appena nominavo il mio ragazzo, cadeva l’interesse».

Però sei sempre andata avanti.

«Mi hanno detto che ero troppo carina per cantare quello che canto. Ho scelto di non fare talent, di non uscire in feat con un trapper. Io volevo fare il mio esordio da sola. E a diciotto anni avrebbero dovuto avere tatto nel dirmi certe cose, ma non lo hanno avuto. È stato molto faticoso percorrere un modo diverso di stare nella musica, senza per forza dover scrivere con altri autori o vestirmi con i brand consigliati ma magari scegliendo invece di coinvolgere artisti emergenti, per una ricerca di arte diversa. Le pressioni sono tante».

È ancora così?

«Stiamo facendo passi avanti, vedo che qualcosa sta cambiando anche grazie ai social dove nonostante ci sia tanta caciara, c’è anche spazio per informarsi e parlare di temi importanti insieme a persone intelligenti. La mia generazione potrebbe scendere in piazza, entrare in politica e cambiare le leggi. Sento molta empatia. Tra i più giovani meno. E questa cosa mi spaventa».

Undici anni con la stessa persona, è difficile?

«È moto raro, ci vuole lavoro. Si tratta di scegliere la stessa persona ogni giorno. Me lo dicevano, non ci credevo ma è così. Vivo alla giornata e ogni giorno scelgo lui. Non penso a lungo termine. Non abbiamo intenzione di sposarci, non pensiamo a come sarà tra dieci anni. Insieme ci divertiamo, siamo bambini che giocano, ogni giorno. Come due gatti. E questo è fondamentale. Essere adulti ogni giorno è noioso, nessuna coppia durerebbe».

Mai avuto crisi?

«Milioni. Passiamo tantissimo tempo insieme, lavoriamo insieme, tutto quello che partoriamo esteticamente è opera della sua mano. Senza di lui l’estetica della Nina non esisterebbe. Se siamo ancora qui è perché siamo rimasti due individualità separate. Quando arriva la crisi devi chiederti se stai insieme per automatismo o per amore. Se si supera quel momento c’è la rinascita della coppia. Quello che salva noi è che non ci siamo mai cristallizzati, siamo in continuo cambiamento. E così non ci abituiamo mai».

L’estetica quanto conta per te?

«È fondamentale. Non è raro che quando scriviamo canzoni nuove ci sia già un’idea estetica precisa. Nasce tutto insieme».

Cosa sogni?

«Ultimamente faccio incubi (ride ndr). Quello che ho mi basta, sono già molto grata, ho la possibilità di fare scelte senza impedimenti fisici o tragedie. Sono una privilegiata. Il mio sogno si realizza ogni giorno. Certo, la mia utopia è collaborare con FKA Twigs, la mia idola, come direbbero a Napoli».

Che rapporto hai con la tua città?

«Un rapporto madre figlia, di attaccamento, di rispetto, ma anche di timore quasi reverenziale. Napoli può essere anche crudele, ma è una madre che ama e ti dà tanto. Non esisterebbe senza le sue contraddizioni».

Sei cresciuta nella Napoli facile o difficile?

«A metà. Vengo dal paese di Massimo Troisi e Lello Arena, al confine con una zona molto difficile. Ho sempre avuto amicizie eterogenee vivendo questo dualismo con estrema naturalezza anche grazie a una famiglia aperta che non ha mai avuto pregiudizi. Questo mi ha dato tanto, ma allo stesso tempo rischia di abituarti a tutto quello che non dovrebbe andarti bene. Napoli ha tantissimi problemi e si potrebbe fare di più. Ma bisogna rompere le palle, a costo di crearsi problemi. Se tutti puntassimo il dito verso ciò che non va le cose potrebbero migliorare. Invece vedo molta rassegnazione, ma io non lo accetto. Io non mi voglio rassegnare».

I tuoi prossimi passi?

«Sto scrivendo come autrice, anche per altri artisti. Sto suonando in giro. Spero che a breve potremo annunciare un tour».