Un mese fa una dozzina di donne coraggiosissime sono scese in piazza a Kabul per rompere il silenzio della comunità internazionale sulla «situazione politica, sociale ed economica» dell'Afghanistan. Perché dopo la mobilitazione generale dello scorso agosto nel documentare, denunciare, indignarsi davanti al regime talebano, oggi i media sembrano essersi dimenticati dell'emergenza e della crisi umanitaria in cui riversa il Paese. «Perché il mondo ci guarda morire in silenzio?», si chiedevano in un cartello. Nei giorni scorsi è stata diffusa la notizia dell’intervento di Kim Kardashian che ha finanziato un jet privato per far arrivare in Inghilterra le calciatrici afghane perseguitate dai talebani con la propria famiglia. Ci son stati altri interventi, ma non bastano. Ricordiamo che al momento, le donne afghane non possono andare a scuola, praticare sport, lavorare.

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L'ultima notizia che arriva da Kabul è riguarda la televisione. Come riportato da BBC News, «le donne sono state bandite dall'apparire in serie tv in Afghanistan in base alle nuove regole imposte dal governo talebano». Un annuncio in vigore da subito, pena la chiusura delle emittenti televisive. Anche alle giornaliste e alle presentatrici è stato ordinato di indossare il velo durante i programmi e il telegiornale (sebbene le linee guida non indichino quale tipo di copertura utilizzare e siano state definite "piuttosto vaghe"). Come spiegano Ansa e le principali agenzie di stampa, è stato Hakif Mohajir, portavoce del Ministero per la Promozione della virtù e la Prevenzione del vizio, ad annunciare sui social questa nuova «linea guida religiosa», che prevede appunto il divieto della messa in onda di fiction in cui recitano delle attrici donne.

Sono otto i punti delle nuove direttive (alcuni riguardano la censura di determinate immagini, come quelle relative alle parti intime femminili che non potranno più comparire nei film e nei programmi trasmessi), tra cui il no a programmi «che vanno contro i valori islamici e afghani» e che «insultano la religione o mostrano il Profeta e i suoi compagni», senza contare i film stranieri che «promuovono valori culturali diversi da quelli cari all'Islam corrompendo lo spirito dei cittadini».

Ad agosto, nei giorni della caduta di Kabul, i talebani avevano promesso che la stampa sarebbe rimasta libera, purché non fosse andata contro i valori nazionali, e che le donne avrebbero visto i loro diritti rispettati. Eppure (ma è solo un esempio), mentre prima le donne costituivano poco più di un quarto del parlamento del paese e il 6,5% dei posti ministeriali, oggi sono escluse dal governo. «Una donna non può fare il ministro. È come se le mettessi al collo un peso che non può portare», ha detto a inizio settembre il portavoce dei talebani Sayed Zekrullah Hashim al giornalista di ToloNews spiegando il perché con assoluta nonchalance. Le morti di Mahjabin Hakimi, la giovane pallavolista della nazionale afghana decapitata per aver giocato senza indossare lo hijab e di Frozan Safi, attivista e docente universitaria di 29 anni crivellata di proiettili sul viso non vanno dimenticate e devono servire per mantenere alta l'attenzione sulla condizione femminile in Afghanistan.