L'aborto legale salva delle vite. È un concetto che gli antiabortisti faticano ad accettare eppure in Polonia inizia a essere sotto gli occhi di tutti. Un anno fa nel Paese è entrata in vigore la ormai famigerata norma che vieta l’aborto anche in caso di malformazione del feto rendendo le IVG praticamente impossibili da praticare se non in caso di pericolo di vita della donna. Il problema è che i medici hanno paura delle sanzioni e così, anche quando potrebbero praticare gli aborti, non lo fanno, aspettano e rischiano. Lo scorso settembre una donna è morta di setticemia perché i medici si sono rifiutati di intervenire finché il feto non fosse morto, ora un'altra donna è rimasta vittima della stessa legge. Quante ancora dovranno morire?
La donna in questione, identificata solo come Agnieszka, era nel primo trimestre di una gravidanza gemellare quando è stata ricoverata all'ospedale della Beata Vergine Maria a Częstochowa il 21 dicembre. Secondo una dichiarazione della famiglia, la 37enne è arrivata in ospedale dolorante ma «pienamente cosciente e in buona forma fisica». Il primo feto è morto il 23 dicembre, ma i medici si sono rifiutati di intervenire per una settimana, citando proprio la legislazione sull'aborto. Così la salute della donna è «rapidamente peggiorata». L'ospedale, però, ha aspettato che anche il gemello morisse per poi operare la donna solo il 31 dicembre. Agnieszka non si è più ripresa dalla setticemia e così è morta il 25 gennaio.
La famiglia ha reso pubblici dei filmati di Agnieszka poco prima della sua morte per denunciare il comportamento dei medici. L'ospedale, invece, si è rifiutato di condividere i risultati degli esami della donna citando le linee guida sulla riservatezza. Secondo Abortion Without Borders, a oggi sono almeno 34.000 le donne polacche che hanno cercato di abortire illegalmente o all’estero nell’ultimo anno. La legge le mette in pericolo e, se le cose non cambiano, è probabile che la lista delle vittime aumenterà. «Questa», ha affermato la famiglia di Agnieszka in una nota su Facebook, «è la prova del fatto che l'attuale governo ha le mani coperte di sangue».