«Che stupido figlio di puttana». Joe Biden sussurra l'insulto verso il giornalista mantenendo un sorriso di circostanza. Poi si accorge che il microfono è rimasto acceso, ma è troppo tardi: ormai l'ha sentito tutto il mondo.

India, villaggio di Sarmathla, nello stato di Haryana, tutt'altro luogo rispetto alla conferenza stampa della Casa Bianca. Eppure un collegamento c'è: l'educatore e attivista Sunil Jaglan chiede a una piccola folla radunata per ascoltarlo «Alzi la mano chi ha mai usato imprecazioni che nominano parti intime del corpo della madre, della sorella o della donna?». Ovunque si vada la storia è sempre la stessa. Ma perché gli insulti devono essere sempre sessisti?

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Siamo talmente abituati a sentire frasi come «Figlio di x» e «Tua madre y» che non ci facciamo nemmeno più caso. «Ma è giusto che sia così?» chiede Jaglan alle donne del villaggio. «Certo che no!» rispondono loro, «Perché prendere di mira noi o il nostro corpo negli insulti? Perché le persone non capiscono che quando usano parolacce misogine, in realtà prendono di mira le proprie madri e sorelle? È questo che stiamo insegnando ai nostri figli?». Jaglan gira per i villaggi sensibilizzando sul tema convinto che le parole abbiano un peso e che le "parolacce" non siano dannose solo in quanto insulti ma anche e soprattutto per il substrato misogino che ormai accettiamo di default. Nel 2014, spinto dalle denunce delle donne del suo villaggio d'origine, Bibipur, ha formato un comitato per monitorare e frenare il linguaggio sessista con particolare attenzione ai bambini che imparano queste espressioni in famiglia. Ora organizza incontri, collabora con le scuole e invita i capi villaggio a monitorare la situazione. «Questa campagna ha dato alle donne la sicurezza di parlare contro, non solo i propri familiari, ma chiunque usi insulti contro di loro», afferma Madan Lal, capo del villaggio di Taloda.

Ora, qui non si tratta mica di fare i moralisti o i bacchettoni, tutti usiamo insulti più o meno coloriti e, se è Biden a farlo, tanto meglio per i meme. È interessante, però, chiedersi come siamo arrivati a pensare che sia normale prendersela con la madre di (o la moglie di) invece che con il diretto interessato. È un modo per colpirlo indirettamente? Per mettere in dubbio le sue origini? Come scrive Jude Ellison Sady Doyle ne suo libro Il Mostruoso Femminile, «Il fatto è che per il patriarcato la madre cattiva è l’asso nella manica, l’ultimo appiglio a cui aggrapparsi: spostando la responsabilità della violenza maschile indietro di una generazione, fa delle donne, che sono sue vittime, le vere colpevoli». La madre che non sa controllare la sua sessualità (e quindi mette a rischio la discendenza del nome paterno), la madre cattiva che non adempie ai suoi compiti, la moglie che disonora la famiglia con il suo comportamento: gira e rigira sono loro le vere colpevoli. Secondo un report di Vice, l'uso dell'espressione "son of a bitch" negli Stati Uniti è raddoppiato proprio nel periodo del Suffragio Universale. Che sia una coincidenza? Davvero vogliamo crederci?