Oggi è il World Aids Day e sono esattamente 40 anni da quando nel 1981 i Centers for Disease Control and Prevention hanno per la prima volta segnalato «un inspiegabile aumento di polmoniti nei giovani omosessuali». Già, allora il problema sembrava isolato alla comunità gay tanto che la stampa in quegli anno coniò il termine GRID (Gay-Related Immune Deficiency). Ci sono voluti tre anni perché Robert Gallo riuscisse a isolare il virus Hiv, il virus dell’immunodeficienza umana Hiv, che può portare (in certi casi, dopo un periodo di latenza) alla sindrome da immunodeficienza acquisita o Aids. Da allora ne sono stati fatti di passi avanti: oggi sappiamo che l'Aids non ha nulla a che vedere con l'orientamento sessuale e che il virus si trasmette tramite alcuni fluidi corporei: sperma, fluidi vaginali e anali, sangue e latte materno e non tramite saliva, urina o contatti ravvicinati di altro tipo. Siamo però ancora ben lontani dall'obiettivo 2030 di sconfiggere l'Aids. Ma se l'obiettivo è la prevenzione c'è da chiedersi - ancora una volta - perché in Italia non abbiamo ancora l'educazione sessuale nelle scuole?

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Oggi nel mondo ci sono circa 37,7 milioni di persone che vivono col virus Hiv (tra sieropositivi e malati di Aids) e due su tre si trovano in Africa, dove si registra il 70% dei decessi. Nei Paesi più ricchi, infatti, le cure permettono di vivere normalmente (avere rapporti sessuali, fare figli, vivere a lungo), anche se lo stigma è ancora presente e condiziona a livello psicologico e sociale sia la vita di chi è sieropositivo, sia lo stesso accesso alla diagnosi. In ogni caso non tutta la popolazione mondiale vi ha accesso e infatti nel 2019 sono stati registrati 690.000 decessi. Dal momento che non esiste una cura vera e propria per l'Hiv, prevenzione e diagnosi precoce risultano fondamentali. Ancora oggi la trasmissione sessuale è la modalità più diffusa e riguarda l'80% delle nuove diagnosi nel 2020 ce ne sono state 1,5 milioni, molte delle quali riguardano la fascia di età tra i 15 e i 24 anni e rapporti eterosessuali (nel 42,3% dei casi secondo i dati del 2019).

Visto tutto questo siamo di fronte all'ennesima ragione (ce ne sono molte altre: l'educazione al consenso e la lotta alla violenza di genere, ad esempio) per cui bisognerebbe introdurre l'educazione sessuale nelle scuole. Se ne parla da anni, gli studenti lo chiedono a gran voce, ma l'Italia non ha ancora una legge che includa l’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. È inutile demonizzare la sessualità, predicare l'astinenza o fare finta che, se non se ne parla, gli adolescenti smetteranno di fare sesso. La verità è che senza alcuna educazione sessuale e affettiva lo faranno solo in modo meno consapevole e più rischioso. Bisogna parlare di consenso, di sesso sicuro per noi e per gli altri, dell'uso dei preservativi e oral dam (Sapete cosa sono? Si tratta di dei fogli di lattice che proteggono in caso di sesso orale su vagina), di prevenzione alle malattie sessualmente trasmissibili e di screening periodici per identificarle anche quando asintomatiche. Oggi più che mai dobbiamo chiedercelo: che cosa stiamo aspettando?