Ha parlato alla conferenza per il clima a Milano subito dopo Greta Thunberg, ha ricordato ai leader presenti il ruolo del continente africano nella lotta al cambiamento climatico, ha ricevuto applausi e una standing ovation e l'abbiamo vista nelle foto mentre, abbracciata a Greta è scoppiata in un pianto liberatorio: è Vanessa Nakate, attivista per il clima ugandese. Se non la conoscete dovete conoscerla, va tenuta d'occhio perché - credeteci - è una delle voci più potenti del movimento ambientalista.

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Per presentarla dobbiamo partire da un episodio piuttosto emblematico avvenuto nel gennaio 2020. Nakate si trovava a Davos in occasione del World Economic Forum insieme ad altre cinque attiviste tra cui Greta Thunberg. Lei era la sola ragazza nera, le altre tutte bianche e occidentali. Poi è successo il fatto: l’Associated Press ha scattato una foto alle giovani attiviste, ma in fase di editing ha tagliato fuori proprio Vanessa. La giustificazione ufficiale portata è stata la volontà di fare un primo piano di Greta, ma ormai il danno era fatto e ha mostrato chiaro e tondo un problema che Nakate ha finito così per impersonare. Anche nella lotta al clima si perpetuano le disuguaglianze, anche quando pensiamo a salvare il Pianeta tendiamo ad adottare una prospettiva eurocentrica e imbevuta di colonialismo. «Non avete cancellato solo una foto. Avete cancellato un continente» ha commentato l'attivista in un video su Twitter, denunciando l’esclusione delle voci nere e delle comunità più vulnerabili anche quando si parla di climate change. Questo atteggiamento ha un nome: si chiama razzismo ambientale, ma Nakate ha tutte le intenzioni di combatterlo. «Nonostante questo incidente sia stato davvero doloroso», ha spiegato l'attivista, «ha cambiato la storia per diversi attivisti nel Sud del mondo. Penso che che ciò che mi ha davvero aiutato a diventare quella che sono oggi sia il fatto che ho parlato e che le persone hanno risposto con il loro supporto».

chi è l'attivista per il clima vanessa nakatepinterest
Nicolò Campo//Getty Images
Greta Thunberg e Vanessa Nakate a Milano per la Pre Cop26

Classe 1996, Nakate è originaria di Kampala, capitale dell’Uganda, è laureata in economia aziendale alla Makerere University Business School ed è la prima attivista di Fridays for future del suo Paese. Ha iniziato il suo impegno per il clima nel gennaio del 2019, proprio in concomitanza con i primi scioperi Fridays for future. Era preoccupata per le temperature insolitamente alte rilevate e ha deciso di scendere in strada accompagnata dai suoi fratelli e presidiare i cancelli del Parlamento ugandese tenendo in mano dei cartelli con su scritto “Amore verde, pace verde, “La natura è vita”, “Climate Strike Now”. Da quel momento il suo impegno ambientalista si è fatto sempre più serio: ha partecipato a quasi 60 proteste Fridays for Future, ha fondato Youth for Future Africa (che in seguito si è trasformato nel movimento Rise Up), ha parlato alle Nazioni Unite nel 2019 e a Davos nel 2020. Ha organizzato anche una campagna per la riforestazione del Congo, un'altra contro l’inquinamento atmosferico a Kampala; si è battuta contro l’innalzamento delle acque nel Lago Vittoria e i finanziamenti alle compagnie petrolifere del carbone.

Certo, Greta Thunberg ha portato il climate change all'attenzione globale, ma in questa lotta non possiamo certo puntare tutto su una persona sola. Nakate porta una prospettiva che non può essere tralasciata: «L'Africa è responsabile per il 3% delle emissioni globali, ma soffriamo l'impatto della crisi più di altri», ha detto a Milano, «Abbiamo inondazioni devastanti e siccità fortissima. C'è sofferenza e morte. In Madagascar si muore di fame, Paesi come l'Uganda, la Nigeria, l'Algeria stanno soffrendo sempre di più tra caldo e siccità. Ma non è solo l'Africa. Pensiamo ai Caraibi, a chi lascia le isole per scappare, alle persone del Bangladesh. Si creeranno milioni di rifugiati climatici. Chi pagherà per tutto questo? Chi pagherà per le persone che muoiono, che scappano, per le specie che scompaiono?». Anche Nakate, come Thunberg, ha detto che i governi non stanno facendo abbastanza, ma ha soprattutto ricordato che a patirne le conseguenze saranno ancora una volta i più vulnerabili. La sua è una voce incredibilmente potente proprio perché è la testimonianza chi vive in zone del mondo dove la crisi climatica sta già cambiando la vita delle persone. «Non possiamo più adattarci come facciamo sempre. E tempo di agire». Ascoltiamola.