L'attesa, le veglie, la polizia che dice alle donne di rimanere in casa, i fiori a Clapham Common, le manifestazioni per "riprendersi la notte". Già, la notte. Quel regno che per noi donne è ancora pericoloso: ci sono le app per segnalare le strade meno sicure, le chiavi in mano per difendersi e le telefonate alle amiche per farsi coraggio sulla strada del ritorno. Eppure dopo la morte di Sarah Everard lo scorso febbraio ci abbiamo messo un po' per riportare la paura di girare da sole ad un livello accettabile. Tutto, poi, pian piano era tornato come prima: ogni tanto ci tornava in mente quella ragazza bionda rapita, violentata e uccisa da un agente di polizia mentre tornava a casa. Tornava il dolore e l'angoscia e per un po' ci guardavamo le spalle con più attenzione. Non si può vivere nella paura, ma è difficile che le cose cambino se non si fa nulla. E così è arrivata un'altra donna, un'altra storia, un'altra tragedia: Sabina Nessa, un'insegnante di ventotto anni di origini asiatiche è scomparsa una sera di qualche giorno fa mentre percorreva il tragitto da casa verso un pub a sud-est di Londra. Il suo cadavere è stato trovato in un parco sotto un mucchio di foglie.

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Inutile che il capo detective Trevor Lawry minimizzi l’accaduto definendo l’omicidio di Nessa un «episodio isolato nel panorama generale della città», il ricordo di Sarah Everard e delle promesse fatte dalle istituzioni è ancora decisamente troppo fresco. Il governo aveva detto che le cose sarebbero cambiate, che il problema della violenza contro le donne e le ragazze sarebbe stato preso seriamente. Sono stati stanziati fondi ed a luglio è stato predisposto un piano strategico che prometteva migliori servizi di supporto, una campagna di salute pubblica focalizzata sul comportamento degli autori e addirittura la criminalizzazione del catcalling e delle molestie per strada. Ora nulla sembra essere cambiato e il problema è diventato ancora più urgente.

Come nel caso di Everard anche stavolta le donne del quartiere si sono viste presentare dei "consigli" su come rimanere al sicuro quando girano di notte. Questo atteggiamento, però, non fa che alimentare la paura: «La paura del mondo come scena di una futura aggressione», scrive l'accademica femminista Sara Ahmed, «funziona come una forma di violenza già nel presente che rimpicciolisce i corpi in uno stato di terrore, un restringimento che può comportare il rifiuto di lasciare gli spazi chiusi della casa o un rifiuto di abitare ciò che è fuori in modi che ci fanno presagire le aggressioni (camminare da sole, camminare di notte e così via)». È questa paura che andrebbe combattuta a livello strutturale dato che, secondo le statistiche, nel Regno Unito l'80% delle donne racconta di aver subito molestie in un luogo pubblico e dalla morte di Sarah Everard sono stati contati altri 77 femminicidi. Bisogna ripensare alle città per far sì che le donne se ne riapproprino tenendo contro di privilegio, sistemi di oppressione e intersezionalità. «In una città femminista e sicura», scrive Leslie Kern nel suo libro Feminist City, «le donne non dovranno più essere coraggiose solo per poter uscire dalla porta. Le nostre energie non verranno sprecate in mille precauzioni di sicurezza. In questa città si potrà realizzare tutta la portata di ciò che le donne hanno da offrire al mondo». È quello che chiediamo. Per noi, per Sarah Everard, Per Sabina Nessa.