Ti sei mai chiest* se il/la tu@ nuovə amicu vuole che ti rivolgi a lui/lei al maschile o al femminile? In questa frase è riassunto il tema di cui stiamo parlando: la ricerca di una lingua più inclusiva che sia anche facile da scrivere e pronunciare. Partiamo dall'aspetto più semplice, ma meno scontato: come rivolgersi a una persona senza scivolare sui binari.

Lui/lei o they?

Kate Dillon quando interpreta un personaggio non binario e nel copione trova scritto "they", ha le lacrime di gioia: non è per nulla scontato che i produttori, men che meno il suo stesso pubblico, rispettino la sua volontà di essere appellata con il pronome "loro". Alla rapper Angel Haze non mi importa se le persone usano suo o sua, perché non si considera di alcun sesso: si considera un'esperienza. Tra questi due opposti c'è la battaglia di milioni di persone alle quali, invece, importa.

Una di queste è Amandla Stenberg, che ha contattato più volte Wikipedia attraverso il suo agente, chiedendo che il pronome "her" al femminile venisse cambiato in "they", ma la pagina è ancora lì, col femminile. Ha scritto rispondendo a una sua fan che su Tumblr le chiedeva quale pronome preferisce.

"Mi sento a mio agio con "they" ma so che i media e la gente che mi segue lo criticheranno o non capiranno, questa cosa mi rattrista e mi fa sentire a disagio. Quindi immagino che per adesso dovrò accontentarmi di she/her".

In italiano "loro" non è molto usato. Complice il fatto che la nostra è una lingua senza genere neutro, le persone che non si identificano in un sistema binario tendono a preferire il maschile o il femminile. Ce lo conferma Marta Maria Casetti, matematica e traduttrice di fumetti, italiana che vive a Londra.

"Di solito ho un look abbastanza androgino, con una passione per cravatte e cravattini, per cui è più probabile che qualcuno mi chieda che pronomi uso, ma quando ho un aspetto più "femminile" è (comprensibilmente!) meno comune. Ho sperimentato per quasi un anno il pronome "they" in contesti anglofoni online, in cui usavo uno pseudonimo, senza nemmeno sapere perché. Quando ho realizzato (di colpo) di essere non-binaria, usare il "they" ovunque è stata una conclusione quasi naturale. In inglese di solito i pronomi sono they/she", in italiano uso il femminile."


Molto più di una questione di pronomi

La Svezia come sempre è avanti anni luce: già da 5 anni ha aggiunto nel dizionario il pronome neutro hen, che vale sia per rivolgersi a persone queer, sia quando si parla a gruppi misti. Per esempio un insegnante che parla a una classe di maschi e femmine, o tu al tuo gruppo di amici: normalmente si usa il maschile e buonanotte. Ma questa è l’alba di un nuovo giorno, in cui alle moltitudini si deve parlare in modo diverso. Un modo è per maggioranza: se la maggior parte sono femmine si può usare il femminile. È ancora un modo poco inclusivo, ma un piccolo passo avanti. Nello scritto si possono usare asterischi e schwa (ciao a tutt* oppure ciao a tuttə).

Ma come si pronunciano? C’è chi suggerisce l’uso della “U” finale (ciao a tuttu!), utilizzando giri di parole che evitano di usare il maschile o il femminile (ciao, gente!) o preferendo forme impersonali (ciao, come state?).

Le linee guida per la comunicazione inclusiva stilate dal Consiglio dell'Unione europea nel 2018 si ispirano ai valori sanciti nell'articolo 2 del trattato sull'UE: "L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze".

Nel suo saggio più famoso Il sessismo nella lingua italiana (puoi leggerlo per intero qui) la linguista Alma Sabatini più di 30 anni fa consigliava di usare le forme femminili delle professioni, come avvocata o ministra, architetta, o di usare l’articolo femminile davanti ai nomi: la giudice, la farmacista, la consulente.

Anche se sono passati più di 30 anni sembra che questo fantomatico uso inclusivo della lingua non sia ancora realtà. Ne abbiamo parlato con la linguista Vera Gheno, che ha acceso i riflettori sullo schwa.

Il genere neutro in italiano non esiste. Perché non è sufficiente usare il maschile?

"Il maschile sovraesteso, che è ovviamente convenzionale, ha il difetto di far scomparire le donne ed eventualmente anche le persone non binarie. E come tutte le convenzioni linguistiche, tal usanza può venire modificata in un'ottica di maggiore attenzione alla diversità. Non solo noi nominiamo ciò che vediamo - il che spiega perché trent'anni fa non si usasse "ingegnera" - ma ciò che nominiamo si vede di più. Per questo motivo, nelle lingue dell'Europa che possiedono il genere grammaticale (cioè ogni parola è maschile, femminile o, in alcune lingue, neutra), quando si parla di/a una donna si suggerisce di usare la parola declinata al femminile.

Per rivolgersi alle moltitudini miste ha senso usare il genere della maggioranza (es. se c'è un solo maschio in una classe di femmine, usando il femminile)?

"O valuta qual è il genere maggioritario (e nel caso usa il femminile sovraesteso) o usa la doppia forma (femminile e maschile). Ovviamente, questo approccio è vissuto come ancora incompleto dai genderfluid o genderqueer."

Nel pratico, come ci si rivolge a qualcuno senza usare né maschile né femminile, esiste un bon ton nel chiederlo al proprio interlocutore?

"Si tratta di una questione dettata da una sensibilità talmente nuova e tutto sommato inedita - almeno nel mainstream - da non avere una risposta certa o univoca. Proprio da questo fermento nascono vari escamotage come l'uso della u ("E' un piacere conoscerlu") o dello schwa o scevà ("E' un piacere conoscerlə), nonché tutte le forme che ricorrono nello scritto: la x finale, o l'asterisco, o la chiocciola, ecc. Comunque, per rimanere a una forma praticabile, io faccio così: se la persona mi si presenta come "genderfluid", le chiedo come preferisce essere appellata. Se appello in un certo modo la persona di fronte a me in base a dei miei bias (suppongo che sia un maschio, o una femmina) e la persona mi corregge, mi faccio correggere e da lì in poi la appello come desidera."

Una comunicazione più inclusiva contro il sessismo

Usare un linguaggio più inclusivo aiuta a demolire gli sterotipi di genere. Cambiare le parole che usiamo, rendendole più aperte e inclusive, modella anche i nostri atteggiamenti nei confronti delle cose e delle persone. Ne abbiamo parlato con Ella Marciello di Hella Network, un'associazione nazionale di donne della comunicazione che, pochi giorni fa, hanno introdotto il protocollo Zero stereotipi approvato dalla Commissione Pari Opportunità del Comune di Torino. Abbandonare il linguaggio maschilista, a partire dalle istituzioni, può invertire gli effetti della mera esposizione.

"L’esposizione ripetuta nel tempo tende ad essere più efficace quando intercorre un lasso temporale tra l’esposizione allo stimolo (immagini, testi, suoni) e la valutazione dello stesso: il tempo è un fattore determinante perché ci aiuta ad assorbire gli effetti derivanti dall’esposizione ripetuta," ci spiega Ella Marciello.

"Gli stimoli subliminali, ovvero intercettati in stato di non consapevolezza, amplificano di fatto la mera esposizione. Per questo, attraverso la comunicazione inclusiva e non stereotipata, dai messaggi istituzionali a quelli pubblicitari, la società tutta ne trarrà beneficio: più siamo esposti a determinati messaggi più avremo strumenti per parlare, comunicare e vivere la complessità. E questo si tradurrà nelle nostre azioni, nel modo che abbiamo di approcciare il mondo e le persone che lo abitano."