Nonostante abbia creato un brand il cui valore si aggira – insieme ai marchi associati – intorno ai 3 miliardi e mezzo di euro, Miuccia Prada non si lascia ispirare dai soliti canoni estetici, e preferisce scendere a patti con la tanto evitata “bruttezza”.

«Quando ho iniziato, la moda era il posto peggiore in cui potevi trovarti se eri una femminista di sinistra. Era spaventoso, ho sempre avuto problemi con tutto questo. Probabilmente mi sentivo in colpa per il fatto di non fare qualcosa di più importante, di più politico, e in un certo senso cercare di usare l'azienda per altre attività», ha ammesso durante un'intervista al magazine inglese Stella.

La stilista rilevò infatti l'azienda del nonno Mario Prada nel 1978, portandola in pochi decenni al successo mondiale, nonostante le iniziali critiche al suo lavoro.

«La bruttezza è attraente ed eccitante. La ricerca della bruttezza, per me, è molto più interessante dell'idea borghese della bellezza. Perché? Perché la bruttezza è umana, riguarda il lato peggiore e sporco della gente. Ecco, dire tutto questo sembra uno scandalo perché parliamo di moda, ma in altri campi dell'arte è qualcosa di estremamente comune: in pittura e nei film è normale vedere la bruttezza. Invece, nel fashion resta un tabù, e sono stata molto criticata per aver inventato il “trash” e il “brutto”», ha concluso.

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