Yan Wen è uno studente della scuola Polimoda di Firenze, un polo di eccellenza che accoglie ragazzi da tutto il mondo per imparare l'arte e la tecnica del fashion. Ti basti sapere che The Business of Fashion l'ha eletta come migliore sede di formazione in Italia e compare tra le prime dieci del mondo per il suo approccio innovativo e per quella combinazione di business e design che oggi non può mancare in chi decide di buttarsi a capofitto, ma non senza le conoscenze adeguate, in questo universo.

Quest'anno Polimoda in collaborazione con l'Ambasciata d'Australia a Roma ha deciso di promuovere tra gli studenti il concorso "Wool Wonders"*: al vincitore sarebbe toccato un viaggio in Australia, a Sydney, dove avrebbe avuto la possibilità di studiare per un mese nell'università della città, mischiandosi a coetanei di un'altra parte del mondo. La cerimonia si è tenuta il 24 maggio e lì è stato decretato il vincitore, ovvero colui che, con un tessuto originario dell'Australia – il jersey di lana –, è riuscito a costruire il total look più convincente per la giuria. Risultato? Chi ha conquistato il podio ha preso il volo per Sydney per un tirocinio di 4 settimane presso la scuola di moda della University of Technology Sydney e il Museum of Applied Arts and Sciences (MAAS). Inoltre per lui è stato studiato un programma su misura alla scoperta di Sydney organizzato da The Woolmark Company, Tourism Australia e dall'Australian Fashion Chamber .

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Questa quindi è una piccola storia, quella dell'incontro tra me e Yan Wen a Sydney. Abbiamo girato la città insieme, ci siamo imbarcati a caccia di balene con il piglio degli avventurieri di inizio secolo e abbiamo chiacchierato di tutto e un po', tra moda, ambizioni, viaggi e Cina, perché da lì che Yan viene: un piccolo paese vicino a Shangai.

L'outfit che Yan ha presentato per il concorso "Wool Wonders".

Con Yan ci siamo intercettati la prima volta per un fashion tour di Sydney: eravamo in uno dei quartieri più glam della città dove, su un incrocio tra una delle arterie principali e una piccola strada su cui si affacciavano alcune delle più belle case con balconi della città, si affastellano le boutique più di tendenza che raccolgono la crème de la crème degli stilisti australiani (zona The Intersection, Paddington). Nella maggior parte dei casi sono giovani imprenditori che hanno cominciato da lì e poi sono riusciti ad aprire anche shop a New York (vedi: Helen Kaminski).

Il terreno su cui si giocava era il suo, quello della moda, e Yan è uno di poche parole ma dalle sinapsi veloci e i pensieri chiari. Lui stesso è uno che per categoria inseriresti tra chi ha un low profile: giacca nera, pantaloni neri (ma non jeans!), sneakers d'ordinanza dello stesso colore, un maglioncino girocollo super basic e uno zaino da aviatore, grande quanto la sua schiena e con delle bretelle con scritte bianche e luminescenti "FEVER". Una specie di tocco in più che non lo lasciava passare inosservato. Gli inglesi direbbero "normcore", che è uno stile ma anche un approccio generale. Con aria diretta entrava nei negozi, subodorava l'aria, l'ambiente e svirgolava tra una rastrelliera e l'altra toccando i capi, osservandoli velocemente e passando oltre come se niente fosse. Neanche una parola.

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Nel tempo di due ore, e all'ora di pranzo, avevo capito una cosa: dovevamo approfittare delle pause nei ristoranti. Yan infatti mangia come un lupo: se lo porti a pranzo, prende quella che promette essere la portata più grande di tutti, se gli offri un aperitivo sotto la Sydney Opera House per fargli godere il tramonto, chiede le buffalo wings (NdR. le alette di pollo fritte e speziate che digerisci dopo ore di agonia). Il fatto è questo, e lo pensa lui stesso: sia mai che gli venga un buco nello stomaco prima di cena. Nel frattempo chiacchiera, sorride e tira fuori argomenti inaspettati, tutto quello che non gli avevi visto fare prima quando quasi quasi ti sembrava un tipo timido.

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Ti racconta che la sera va a letto tardi per questa passione per i videogiochi. Solitamente funziona così: si collega in rete, si mette d'accordo con il cugino e poi ci passa le ore. Lo fa ogni volta che ha del tempo libero.

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Come Yan organizza le sue giornate

Quando gli chiedo come organizza le sue giornate, Yan ha una risposta che mi lascia stranita lì per lì. Ha un'agenda, precisa, metodica, segnata nel dettaglio delle ore (ma forse anche delle mezz'ore) e fa di tutto per non sgarrare. I tempi, però, li vuole decidere lui. Mi racconta con una certa sicumera che lui sulle consegne dei lavori a scuola ha dei problemi. No, in verità, non è lui ad avere i problemi. I problemi li hanno gli insegnanti, perché, insomma, se ha un termine di scadenza per una consegna, lui quel termine lo rispetta, però, no, non è disposto a rispettare i vari step in mezzo, perché ognuno ha il suo modo di lavorare. Gli chiedo un esempio, perché così non ho chiara la situazione. E lui mi dice di pensare a un look completo, fatto da pantaloni, maglione, scarpe e accessori vari. Gli step in mezzo sono imposti dagli insegnanti. Sono loro che ti dicono che il maglione va consegnato dopo una settimana, il pantalone dopo due e così via. Ma Yan così non riesce. Lui ha il suo metodo, gli step intermedi li vuole stabilire lui in base al disegno generale che ha in testa. Del resto è il risultato finale quello che conta, giusto? Non ho niente da obiettare.

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Mi mostra una foto che gli hanno scattato gli amici quando l'hanno ritrovato in casa durante una sessione di lavoro prima della consegna. È la sua foto profilo di Facebook.

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Allora andiamo avanti.

Cosa Yan ha imparato a Sydney sulla moda

«Cosa hai imparato dagli australiani?» gli chiedo. Mi dice che hanno un modo diverso di approcciarsi alla materia, le ore spese nella teoria sono di più, mentre loro a Polimoda lavorano molto sulla pratica, sul disegno, il taglio e cucito, la maglia. Alla fine dell'anno devono presentare come lavoro finale una collezione a tema e quindi si devono organizzare tutto da soli, anche a livello pratico. Essì, qualche volta deve anche stirare i modelli, che, no, non è esattamente il suo lavoro preferito della vita. Nell'università australiana si respira aria internazionale: la stessa Sydney è un punto di riferimento per il mondo asiatico.

Gli australiani, almeno a Sydney, hanno anche quest'altra cosa dell'easy going, del look casual che non stona mai in nessuna occasione. Lo sanno portare, hanno quella strafottenza spigliata che li fa essere sempre nel posto giusto, al momento giusto, con gli infradito giusti.

Gli ho chiesto cosa guardasse degli abiti su cui si soffermava. I tessuti, mi dice, gli australiani lavorano molto bene sulle stampe. Sono la sua ultima fissa, mi dice, perché ha sempre lavorato sui colori basici, il blu, il bianco, il grigio, il beige, il nero. Qui c'è da imparare. Sa che questo è un suo debole, il suo insegnante di "maieiria" gliel'ha fatto notare e, insomma, ha ragione. Dovrebbe abbattere questa sua comfort zone di lavoro e sperimentare dove ha meno certezze.

Mi dice che ha un debole per i lavori in "maieiria" e me li mostra sulla sua bacheca Instagram. Ha anche un debole per gli zaini, mi pare chiaro.

Vorrebbe continuare anche in questo settore, quello della "maieiria". Allora lo correggo e lo aiuto a pronunciare meglio "maglieria", perché sono una di quelle che pensa che, quando impari una lingua e vuoi farlo bene, l'educazione formale di chi non ti vuole correggere non vale e si ha bisogno di chi ha il coraggio di sistemarti. Poi mi fermo un attimo e mi ricordo che "maglieria" lo pronuncio "majeria" per colpa delle mia origine siciliana e di quella j pirandelliana che si infila dove non dovrebbe. Allora penso questo: che, laddove tra qualche anno in una di quelle interviste da backstage delle Fashion Week, dirà "majeria" Sydney avrà lasciato un altro dei suoi significati segni, e un po' rido.

E mentre mangiavamo, chiacchieravamo e puntavamo il seguente appuntamento della giornata, abbiamo visto le balene, abbiamo fatto una passeggiata da vertigini sotto il Sydney Harbour Bridge e ci siamo persi nei meandri della Sydney Opera House.

Con una chiosa sempre uguale a se stessa, ogni giorno: «Ehi Mary, stasera andiamo a mangiare asiatico?».

Perché, sì, A Sydney si mangia un cibo asiatico strepitoso.

Se vuoi partire anche tu per l'Australia, qui c'è tutto quello che devi sapere sul Working Visa Holiday, il visto per turismo e lavoro che dura un anno.

*Il concorso di moda "Wool Wonders" è stato organizzato dall'Ambasciata d'Australia a Roma e l'istituto di fashion design e business Polimoda, in partnership con The Woolmark Company e in collaborazione con Museum of Applied Arts and Sciences (MAAS), University of Technology Sydney (UTS), Singapore airlines e Tourism Australia.