Tra qualche settimana verrà discussa in Senato una nuova legge che tutela gli orfani di femminicidio, già approvata all'unanimità alla Camera l'1 marzo 2017. Manca solo quest'ultimo passo, dopodiché i figli delle tante, troppe, donne uccise dal proprio compagno, marito o ex, potranno finalmente vedere riconosciuti i propri diritti di eredi senza doversi sobbarcare battaglie legali onerose, sfibranti e angosciose. Forse ti sembra un tema lontano da te, o ne hai sentito parlare solo in tv da trasmissioni come Chi l'ha visto, ma purtroppo si tratta invece di una realtà molto più diffusa, che potrebbe riguardare anche qualcuno che conosci direttamente. Non stiamo parlando infatti di poche decine di ragazzi, visto che purtroppo in Italia i delitti di genere all'interno delle coppie non accennano a diminuire. Secondo uno studio dell'anno scorso, a febbraio 2016 erano già 1.628. Di questi, 118 avevano perso la mamma nel corso del 2015 (anno in cui si sono registrati 128 casi, una donna uccisa ogni due giorni e mezzo circa), e 10 nei primi 40 giorni del 2016. La nuova normativa, però, non riguarda solo loro, ma tutte le donne perché potrà contribuire a ridurre il rischio di femminicidio in Italia. In che modo? L'abbiamo chiesto direttamente a chi questa legge l'ha scritta: Anna Maria Busia, avvocata attiva in politica (è consigliera della Regione Sardegna), nonché da anni legale di Vanessa Mele, 24 anni, orfana in seguito all'omicidio della madre per mano del padre nel 1998.

Chi uccide la propria donna, di solito si dimentica dei figli

«Nello scrivere questa legge ho cercato di risolvere le tante difficoltà affrontate da Vanessa per difendere i suoi più elementari diritti. Difficoltà che via via ho scoperto essere le stesse che incontrano tutti gli orfani e i loro familiari», spiega Anna Maria Busia. Le "vittime secondarie" di femminicidio (è questo il termine usato dagli addetti al lavoro) vivono infatti due volte il dramma che li ha colpiti. Sono ragazzi e ragazze come te, solo che da bambini hanno avuto la sfortuna di crescere in una famiglia condizionata da un uomo violento o, comunque, disturbato, fino al punto da uccidere la propria compagna (o ex). Privati in modo drammatico della madre, questi ragazzi si ritrovano di fatto anche senza l'altro genitore che, anzi, spesso diviene fonte di ulteriori problemi in quanto li ostacola in ogni modo dal punto di vista economico.

Altro che amore criminale, dietro ai femminicidi spesso ci sono solo i soldi

«Molti credono che i femminicidi siano delitti passionali, ma è un equivoco», spiega l'avvocata. «Di solito, dietro al gesto omicida non c'è affatto un raptus o una passione malata, ma una mera questione di soldi». E questo lo si vede proprio dall'accanimento con cui gli autori di questi reati, una volta giudicati colpevoli, cercano di ottenere in ogni modo ciò che reputano loro, a spese dei figli. Se dunque pensavi che di fronte all'enormità di quanto commesso, sopravvenga il desiderio di rimediare in qualche modo agli sbagli fatti e la preoccupazione di proteggere chi ne soffre le conseguenze, ti sbagli. «Nessun uxoricida che va in carcere passa un euro ai propri bambini», sottolinea l'avvocata. «È un tratto comune emerso anche dal confronto che ho avuto in questi anni con altri avvocati, psicologi, funzionari di strutture sociali e carceri. Tutti mi hanno confermato questo atteggiamento di totale chiusura da parte dei detenuti. Grazie al lavoro volontario di una notaia, poi, stiamo anche scoprendo l'esistenza di diverse scritture private depositate in vari studi notarili, nelle quali i padri impediscono ai figli di attingere ai propri beni». Si tratta di un aspetto inedito, e quanto mai agghiacciante, finora rimasto in ombra della personalità degli uxoricidi. «È come se questi uomini, una volta letteralmente eliminata la moglie, non volessero più riconoscerla in nulla, inclusi i frutti della relazione con lei. Vogliono annientare qualsiasi cosa e persona che gliela ricordi», osserva la legale.

Ancora oggi un uxoricida può pretendere la pensione della propria vittima

Ti sembra incredibile che una persona possa ereditare la casa della propria vittima? Eppure, ciò che appare evidente al buon senso, non lo è stato finora per la legge. «Vanessa, per esempio, ha dovuto attendere 19 anni per poter entrare in possesso della propria casa di famiglia perché il padre si è opposto in ogni modo avvalendosi del diritto di pretendere il 50% della proprietà. E ha dovuto penare parecchio anche per impedirgli di continuare a ricevere la pensione di reversibilità della madre all'80%, che lui si era premurato di chiedere appena uscito dal carcere, visto che la legge glielo permetteva. «Questi comportamenti purtroppo oggi sono agevolati dal fatto che per interrompere i normali meccanismi della successione è necessaria una sentenza per indegnità a succedere, che non è affatto automatica, ma va richiesta. Così gli orfani sono costretti a intraprendere in modo autonomo azioni legali assai impegnative e che comportano grandi spese di denaro».

Le nuove regole renderanno il femminicidio "poco conveniente"

Finalmente con la nuova legge questo stato di cose cambierà e i figli saranno tutelati dal punto di vista patrimoniale prima, durante e dopo il processo. Una garanzia che in tanto dolore potrà almeno dare loro un po' di certezza. «In particolare, la normativa dispone in automatico il blocco della pensione della madre defunta e il sequestro dei beni del padre uxoricida, finché quest'ultimo non ha risarcito il danno, come avviene per le vittime di mafia», spiega l'avvocata. «Queste disposizioni renderanno di fatto il femminicidio molto poco "conveniente" e, di conseguenza, potranno funzionare da formidabile deterrente per tutti quegli uomini disposti a uccidere per i soldi».

E a pagare l'avvocato ci penserà lo Stato

Un'altra novità molto importante della legge è il gratuito patrocinio. «Finora ad accollarsi le costose cause civili per ottenere la pensione di reversibilità o la casa di famiglia sono stati i parenti affidatari dei minori, che però non sempre hanno i mezzi necessari. Con le nuove norme le spese legali saranno pagate dallo Stato, che garantirà il miglior patrocinio possibile», sottolinea Busia.

È la prima volta che la legge mette le vittime al centro dell'attenzione

«Il nostro codice penale è vecchio: si concentra sull'autore dei reati e trascura le vittime, che invece meritano di essere sempre al centro dell'attenzione, come avviene con la nostra proposta», spiega la legale, che a marzo ha festeggiato con la sua assistita l'approvazione della legge alla Camera. «È stato un grande risultato, arrivato tra l'altro in tempi relativamente brevi: dieci mesi. Il suo iter è andato veloce anche grazie alla Presidente della Camera Laura Boldrini che ne ha capito subito l'importanza». Ora manca solo il passaggio in Senato dove la sua discussione non è stata ancora calendarizzata. «Ma ormai mi aspetto che sia solo una questione di settimane: lo stesso Presidente Pietro Grasso lo scorso 8 marzo ha ricordato quanto sia essenziale che venga al più presto approvata», osserva Busia.

Ma il rispetto delle donne si difende anche con un linguaggio appropriato

Avere una legge più giusta a tutela degli orfani di femminicidio è un traguardo di civiltà. Si tratta però pur sempre di una misura estrema, che interviene una volta che purtroppo il delitto, l'ennesimo, si è consumato. E intanto, la strage di donne continua. Cosa si può fare ancora per fermarla? «In questi anni mi è capitato spesso di difendere ragazze vittime di aggressioni e stalking. La verità è che spesso ci si trova ad affidarsi alla buona volontà di singoli poliziotti e magistrati. Per una mia assistita, una donna con figli perseguitata dal marito, stiamo aspettando da mesi la misura cautelare, e intanto lei vaga da un appartamento di amici all'altro perché nella sua zona non ci sono case rifugio per donne maltrattate. Purtroppo la politica è carente: i servizi necessari non sono garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale e per intoppi di bilancio succede anche che i soldi per le strutture di accoglienza vengono stanziati, ma non erogati. E poi, manca la vera prevenzione, che si basa su una buona educazione di genere e un'attenzione al linguaggio. Io stessa ho scoperto quanto quest'ultimo sia fondamentale. Il problema del riconoscimento e rispetto dell'altro e, dunque, della parità di genere, è strettamente legato alle parole che scegliamo».

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