Tanti lo avranno skippato, lasciandolo nel calderone dell'infinita proposta di serie e documentari di Netflix, credendo di trovarsi davanti all'ennesimo prodotto televisivo in cui si parla di sport e competizione, per di più in un senso tutto americano (dove sport è competizione, in primo luogo) e su una disciplina da noi sconosciuta, ovvero il cheerleading acrobatico. Invece Cheer su Netflix (in italiano si chiama Cheerleader) merita di essere guardato soprattutto ora che la seconda stagione, dopo i due faticosissimi anni di pandemia, è arrivata sulla piattaforma.

Cheerleader è un bellissimo affresco corale che rivela a gran voce di quanto lo sport può salvare. I ragazzi che si iscrivono al Navarro College in Texas per aggiungersi alla fortissima squadra guidata dall'allenatrice Monica Aldama sono spesso figli di situazioni difficili, di famiglie rotte, di violenze, abusi e di povertà. Il cheerleading li ha letteralmente presi dalla strada e teletrasportati in palestra a sudare e saltare, volteggiare in aria e inerpicarsi sulle complicate piramidi umane frutto di un lavoro estenuante, di mesi e mesi di prove e allenamento. L'ottimo cast della prima stagione, che ritorna in parte nella seconda ora in streaming su Netflix, arriva in molti casi dalla profonda provincia americana. E di quel mondo è uno spaccato.

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Courtesy//Netflix
Una scena della seconda stagione di Cheer su Netflix

Sport e benessere mentale sono legati a doppia mandata e questo vale anche per chi non si allena per i campionati collegiali di cheerleading che si svolgono ogni anno a Daytona: entrambe le stagioni seguono la preparazione delle squadre per la competizione. In Cheerleader vengono fuori anche il senso di unione, la potenza del fare squadra, la lotta per vincere ma anche per emergere, la necessità di spingersi oltre i limiti fisici e psicologici per non rendere vani gli sforzi e gli allenamenti e la rassicurazione nell'avere persone che credono in te - allenatori, coach, aiuto-coach - che ti accolgono come una famiglia. Più che una docuserie, Cheerleader è una palestra di vita in cui tutti quelli che hanno affidato allo sport il proprio benessere ed equilibrio si riconosceranno.

Perché guardare (soprattutto) la seconda stagione di Cheerleader su Netflix

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Se nella prima stagione di Cheerleader si raccontava l'ascesa del team del Navarro College anche grazie al supporto e alla bravura della loro coach Monica, in questa seconda stagione gli autori hanno scelto di integrare la stretta attualità senza ignorare il Covid, le accuse di violenza su minore che pesano su uno dei ragazzi apparsi nella prima stagione e lo scandalo sugli abusi sessuali nel mondo dello sport e in particolare quello della ginnastica che ha investito le atlete americane come Simone Biles in questi anni.

Nel racconto, oltre ai ragazzi del Navarro, vengono integrati anche quelli della squadra avversaria, il Trinity Valley: non mancano, tra le fila dei campioni guidati dal coach Vontae Johnson, altre storie belle e importanti che riflettono in modo esemplare quanto lo sport possa cambiare le sorti delle persone. Ma anche come la fama possa schiacciarti. Arrivati dal nulla, i ragazzi del Navarro sono stati infatti letteralmente investiti dal successo della prima stagione dello show su Netflix: oggi sono tutti influencer e, nel corso di questi due anni, sono stati praticamente in ogni salotto e show televisivo americano che conta. Questo, si legge tra le righe dei primi episodi della seconda stagione di Cheerleader, li ha un po' distratti dall'obiettivo primario (vincere il campionato per cui si allenano praticamente ogni giorno per un anno) e ha anche minato l'equilibrio mentale di tanti ragazzi alle prese con un'ondata di celebrità senza precedenti.

I primi 5 episodi, girati nel pre-pandemia, tornano a svelarci cosa vuol dire prepararsi per una gara di cheerleading professionistico. Il quinto, però, è il vero spartiacque tra il prima e il dopo. Il Covid, che ha cambiato le vite di tutti a partire da quel terribile marzo 2020, chiude per sempre la possibilità di allenarsi ma anche di partecipare alla gara per cui questi atleti tanto avevano sudato (nel 2020 infatti, come tutti gli eventi sportivi maggiori, la gara di Daytona è stata cancellata). Contestualmente al dramma della pandemia uno dei ragazzi emersi nella prima stagione, Jerry Harris, viene arrestato con l'accusa di abusi su diversi ragazzi minorenni, anche loro atleti cheerleader. La scelta di affrontare il caso inserendo nel racconto le voci e i volti delle vittime, dei loro genitori e dei loro avvocati è apprezzabile e necessaria. Così come necessario è il collegamento fatto con il caso Larry Nassar, medico della Nazionale Americana di Ginnastica che per decenni ha abusato delle giovani atlete che di lui si fidavano e si lasciavano curare.

Così come la vita è stata imprevedibile per tutti in questi due anni, la serie Cheerleader riflette bene questa altalena emotiva e non la nasconde. Non nasconde la fatica nel ripetere, ancora e ancora, le routine e le acrobazie di una coreografia allo stesso tempo stupefacente e sconvolgente; non nasconde le lacrime ma neanche gli abbracci e le parole di chi, in uno sport che regala una carriera fugacissima (gli atleti si allenano sin da bambini, ma finiscono di competere subito dopo la laurea), ha trovato accoglienza e salvezza. Per questo la docuserie Netflix, ora in streaming con la seconda stagione, merita una visione: per inquadrare una realtà in cui ritrovarsi in palestra tutti i giorni è anche un modo per sfuggire a situazioni familiari difficili, ma anche per trovare amici e mentori pronti a guidarti e a portarti in cima alla piramide umana per vedere il mondo da una posizione incredibile.