Ha passato un anno a difendersi dalle accuse di «distrarre il grande campione», addirittura di aver deviato la sua strada dalla vittoria in campo con «troppo sesso». Le critiche a Melissa Satta, nel periodo in cui ha frequentato Matteo Berrettini, le hanno addossato una colpa quasi atavica: quella di essere troppo bella e troppo provocante e di aver generato gli insuccessi sportivi del suo fidanzato. Ora che quella storia è finita - lo ha confermato lui in una conferenza stampa in cui ha anticipato il suo ritorno in campo - Melissa Satta ha deciso che ne ha abbastanza. E che procederà per vie legali contro tutti quelli che porteranno avanti questa narrazione svilente e denigratoria che, troppe volte, l'ha presentata come una «sex addict». Non solo la stampa nostrana, ma anche quella internazionale ha spesso rimarcato questo particolare, titolando gli articoli sulla fine della relazione tra il «grande campione e la sua ex malata di sesso» (il Daily Mail e il The Sun su tutti)

In un lungo sfogo scritto insieme al suo legale e pubblicato sul suo profilo Instagram, Satta ha raccontato le paure e le emozioni di questi mesi.

«Ed eccomi qua, ancora una volta costretta ad assumere la mia autodifesa dinanzi al tribunale dell'inquisizione mediatica, senza aver commesso nessun "crimine", né alcun comportamento connotato da riprovevolezza morale. Nulla! Questa volta la stampa (e mi scusino coloro che esercitano la professione giornalistica con consapevolezza, impegno e preparazione, se uso un termine che li accomuna a chi utilizza la carta stampata come mero esercizio di sciacallaggio sociale) a proposito della mia discussa "rottura", non ha mancato di rendere più gustosa la notizia all'evidente fine di vendere qualche copia cartacea o di guadagnare qualche click in più, definendomi come "sex addicted’».

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Lo sfogo di Melissa ha ripercorso alcuni dei momenti più duri dell'ultimo anno in cui è stata accusata di essere una femme fatale pronta a tutto pur di garantirsi l'attenzione esclusiva del suo uomo.

«Ora sappiate che il solo dover scrivere di me stessa riportando una definizione che mi lacera profondamente richiede una enorme forza psichica perché mi sembra di trovarmi catapultata al banco degli imputati, costretta a difendermi in un sistema perverso nel quale non vige la presunzione di innocenza, ma quella di colpevolezza, per cui, in base a questo un onere probatorio al contrario - se non sarò in grado di provare fati a mia discolpa - sarò ritenuta colpevole. Ho pensato più volte, e lo penso tuttora, di appartenere ad un mondo di persone a cui il destino ha riservato la fortuna di essere personaggi pubblici e di dover mettere in conto qualche inevitabile invasione nella mia vita privata, ma non è la prima volta che mi vedo costretta a difendermi da qualche pennivendolo che, al fine di stimolare la fantasia dei lettori più sensibili al tema, non manca di inventare storie piccanti sul mio conto, senza minimamente curarsi delle sofferenza causatemi come madre, prima che come donna e come persona».

Melissa Satta è pronta a «denunciare qualunque ripugnante imbrattatore di giornali che dovesse cedere alla tentazione di denigrarmi». Non per «strumentalizzare il sessismo quale combustibile per alimentare il mio sfogo, o cedere alla facile tentazione di richiamare fatti di cronaca che quotidianamente vedono donne subire i gesti insani di qualche mente disturbata, ma credo che sia tempo che la stampa si assuma le proprie responsabilità e svolga il ruolo dell'informazione secondo i consueti canoni di verità e correttezza, evitando di trasmettere messaggi (in Internet si generano come una forma di virulenta epidemia) che possono sortire effetti devastanti nelle menti più labili. Per questo motivo questa volta giuro a me stessa che non penserò all'episodio in questione come ad un semplice incidente di percorso sull'accidentato cammino della notorietà».