Interno, notte. Sul divano di un piccolo appartamento nel quartiere di San Lorenzo a Roma, una coppia che si è conosciuta su Bumble poche ore prima è finalmente pronta a consumare il proprio date dopo un’interminabile cena. Aveva notato che per l’intero corso della serata non si fosse mai tolta la sciarpa, ma non ci aveva dato troppo peso, aveva dato la colpa all’aria condizionata del ristorante. E poi, voleva solo scopare. Voleva solo fare sesso. Il primo step è solo uno step, il bacio umido di fretta con movimenti della lingua totalmente casuali nell’attesa di recuperare il preservativo d’occasione che nel frattempo dalle ultime tre lavatrici si è fossilizzato insieme ad altro schifo nella fodera della tasca posteriore dei pantaloni. Con l’altra mano armeggia, tra spalle e tette, prova a sfilarle la sciarpa ed è solo in quel momento che le vede per la prima volta. Quattro, gigantesche polpette che hanno tutte le sembianze di quattro organismi carnivori senzienti spuntano dal collo della ragazza. Ma mentre getta il primo urlo di terrore, mentre si allontana dal divano e ricade sul tappeto, è lei a tranquillizzarlo. Non c’è nulla di cui preoccuparsi: anche loro vogliono solo fare sesso.

È con questa immagine che pesca i suoi elementi da uno sketch del Saturday Night Live della comica bodyhorror Sarah Sherman che si può sintetizzare la nuova stagione del podcast di Valeria Montebello, È solo sesso, che segue il successo de Il sesso degli altri prodotto da Spotify Studios in collaborazione con Chora Media, in vetta alle classifiche dei più ascoltati in Italia lo scorso anno e vincitore del premio nella categoria “Benessere” di Spotify. «Non capisco come sia possibile considerando che parlo solo di malesseri», dice Valeria, ex studentessa di Filosofia che su Cosmopolitan da inizio anno tiene anche una rubrica dedicata al nuovo glossario del dating. «Sono tutte cose orribili, storie di paura spaventose che non lasciano spazio a nessun tipo di speranza» è uno dei modi con cui racconta il nuovo progetto, un insieme di 50 puntate rilasciate su Spotify da qui a fine anno a partire dal 28 giugno che proveranno a completare il quadro di tutte le nostre idiosincrasie sentimentali senza più il filtro della storia d’amore come accaduto per la prima stagione (dove la voce narrante si infatuava di un uomo, Luca), analizzando con tono divertente e macabro come in un vecchio B-movie fatto di mostri e sangue e mutazioni e trasformazioni tutte le derivazioni che conficchiamo nel vasto e sconosciuto terreno dell’amore.

Da quando ha iniziato a raccogliere le esperienze degli altri su Instagram e a farne un ricchissimo database di imbarazzi – o da quando, prima ancora, aveva parlato in un articolo del Foglio circa l’aumento delle foto di peni con cui a un certo punto della nostra vita probabilmente abbiamo dovuto convivere – non riesce a pensare ad altro. Non è che stai compiendo una missione inconscia, vuoi finalmente rispondere in maniera definitiva a tutte le ricerche quasi quotidiane sulle nostre abitudini sessuali, facciamo più sesso o meno sesso, realizzando un’inchiesta completa sulle relazioni? Non lo sa. La cosa principale di cui si è resa conto è che oltre ad aver iniziato a porre in questione qualsiasi aspetto della sua vita, le persone che la ascoltano hanno a loro volta iniziato a paragonarla a chiunque in passato, in televisione o nei libri, abbia provato a vivisezionare i disagi della vita di coppia. Fleabag, Hank di Californication, Daria, Lena Dunham «ma non trovi inquietante che ci paragoniamo sempre a qualcun altro? Esempi televisivi vecchi, personaggi iconici che adesso non ci dicono più niente». E se il nostro problema fosse questo, quello di non riuscire a procedere se non nel solco di qualcosa che è già stato fatto perché in alternativa sarebbe come non avere gli strumenti? Avvallarsi di un’infinità di nuove parole, ghosting, orbiting, breadcrumbing che in realtà sono le stesse di sempre solo perché termini come “lasciato” sono diventati di tutti i giorni e non fanno più rumore. Per rispondere a queste domande, abbiamo provato a ripercorrere insieme i casi disperati che Valeria affronta nel podcast nel tentativo di presentare e delineare un nuovo tipo di ricerca. Come se con me ci fosse Maila Nurmi, la “Vampira” che nel 1954 divenne famosa presentando sull’emittente televisiva KABAC TV The Vampira Show, un programma in seconda serata a base di film horror dalla serie B in giù. Decido di non dirglielo, potrebbe darle fastidio.

Te lo chiedo mentre il caldo nelle nostre case materializza l’inferno ed è uscito il primo episodio di È solo sesso. Cosa cambia davvero dalla prima stagione, a parte il titolo?

«Non è una serie orizzontale come l’altra, ma un verticale, ogni puntata avrà un proprio tema con la solita voce narrante della protagonista del Sesso degli altri. Un po’ Modern love ma non del tutto pilotata dalle storie altrui. Affronteremo temi di vario genere e in una parte finale o al centro la voce commenterà alcune storie che mi sono arrivate in questi anni e altre recenti, raccolte con una call to action».

Quindi è tutto vero.

«Sì e no. La prima stagione era più una storia d’amore frammentata ma cronologica, scandiva le varie tappe di questa storia contemporanea tra app di dating e sexting. Questa è invece molto randomica, esplora una serie di mondi che non sono solo mondi strani, kink per pochi, sono cose molto larghe dal microcheating al limone e basta».

E gli altri cosa ti raccontano?

«Arrivano resoconti lunghissimi, storie di relazioni abusanti e cose più disparate, come la ragazza che dopo essere rimasta incinta non riesce più a fare sesso orale, tu dici perché, non lo so. Oppure una ragazza trans m to f che non riesce a fare sesso perché il nuovo pene è troppo piccolo».

Praticamente fai un compendio vocale di tutti gli amori, gli orrori e i sessi possibili.

«Sempre dal punto di vista di una 30enne. E quindi c’è per forza l’orrore, perché per me una persona a 30 anni non può che sperimentare quello».

Per questo hai scelto di mantenere il mood molto dark, con situazioni assurde, anche umoristiche ma affidate ai toni horror alla Dario Argento, come nel trailer del podcast?

«Esattamente così. Ma poi io sogno di fare un film horror comedy, come Jordan Peel che nei suoi film inserisce sempre un personaggio ironico che ti fa ridere in mezzo al disastro».

Lo faceva anche Shakespeare, in Macbeth c’è la scena del portiere scemo.

«Sì è qualcosa che ti serve per tornare alla realtà e il podcast è proprio così, è tutto sul ridere ma poi c’è la scena surreale tossica tremenda che ti fa una paura assurda. Già Il sesso degli altri aveva distrutto coppie, la gente mi mandava foto dei cestini dove avevano trovato prove di tradimento. Un disastro. Questa stagione sarà ancora peggio».

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E alla fine hai impostato una gigantesca inchiesta sulle relazioni. Cosa emerge?

«Non meno cupa di un’inchiesta true crime. Prendi la prima puntata, è sul microcheating, il tradimento sbriciolato sui social dove non ci sono regole, nessuno ti dice se mettere 45 like a una tipa sia tradimento o se lo sia fare sexting con un’altra. Sono solo interpretazioni aperte e l’investigazione è una skill che devi avere se vuoi sopravvivere».

Gli anni del microdosing. Droghe, sesso, relazioni.

«Di tutto. Non c’è mai quella cosa lì che ti ammazza. Con i funghetti dici ok, sono comunque sobrio, e con il microcheating è uguale, non sto tradendo con carne e sangue ma sto sperimentando qualcosa di molto simile e che mi fa comunque sentire libero».

Si sono persi i confini?

«È una roba per cui non ti senti nemmeno in colpa. Nel tradimento tu stai andando a compiere un’azione e nel tragitto c’hai l’ansia perché ti stai dirigendo verso qualcosa che sai benissimo essere sbagliata. Un like invece cos’è? È deresponsabilizzante. Ma pensare che ci sia questa differenza tra reale e virtuale non è una cosa un po’ Anni ’90? Secondo me si trova più piacere con una sessione di sexting che scopando dal vivo con un altro».

E se invece semplicemente non fossimo fatti per l’amore da adulti?

«Noi che abbiamo 30 anni ci siamo trovati nel mezzo di una rivoluzione. Quando avevo 14 anni avevo un altro lessico per la seduzione, ci si vedeva nei locali, al massimo c’era il messaggino che costava pure. Il nostro amore era analogico. E poi è cambiato tutto. Ora ci troviamo 30enni, ancora single e senza capire come parlare la nuova lingua».

I ventenni di adesso sono nati dentro a questa cultura sentimentale. Stando al report mondiale dell’agenzia inglese GWI condotto in 47 Paesi, per la Gen-Z l’amore e il sesso sarebbero addirittura un «capitolo in evoluzione», puntando a un maggior romanticismo e alla conoscenza dal vivo.

«Mi piace generalizzare sulla mia generazione perché ci sto dentro, ma non mi piace farlo con quelle degli altri. Guardo mio fratello più piccolo, super monogamo, super tranquillo, molto più classico di me. Non è che siano un mostro a tre teste, tutti fluidi, tutti che c’hanno in testa solo il poliamore, oppure tutti conservatori, tutti sottoni. Vorrei che un ventenne si raccontasse in prima persona per la prima volta».

Mi ricordo un pezzo del New York Times, nel 2019 teorizzava lo “slow love”, riportando come noi avessimo meno appuntamenti, meno storie, meno voglia di fare sesso, men che meno di sposarci. Siamo pigri?

«No, ci siamo scocciati. A un certo punto arriva la disillusione. Stiamo facendo una puntata sul bacio per esempio, adesso snobbatissimo. Quando io ero al liceo tutti i giornali non parlavano d’altro, nei film in cui c’era la scena del bacio quella era il centro di tutto. Adesso? Sta all’ultimo posto, forse anche perché online hai già mandato tette e culo, pensi ad altre cose che si possono fare con la bocca».

Il bacio come metafora dell’evoluzione dall’adolescenza ai trent’anni.

«Vent’anni il bacio trent’anni la morte».

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ABC

Come si cambia dopo aver conosciuto, letto o sentito ogni singola sfumatura sul sesso, sul porno, sul dating capendo fino a che punto si possa arrivare?

«Sicuramente ha influito sulla mia vita sentimentale. Ormai mi vengono dubbi su qualsiasi cosa, ma non solamente sulle mie relazioni o possibili relazioni, proprio sul modo in cui vedo il mondo e il sesso».

L'autoanalisi è utile, anche all’interno di una relazione?

«Chi lo fa agli altri lo fa sempre a sé stesso. E questo è il mio caso. Se sei così critico è difficile vivere una relazione o comunque pensare a una relazione in un modo puro, come quando eravamo più piccole. Ora per me qualsiasi cosa è un campo minato, se uno mi dice stai bene acqua e sapone io lo blocco. Se uno mi dice va beh è solo una scopata, io lo blocco. Credo che portare gli altri a una riflessione e farli vivere in questo stesso disagio mio sia utile».

Tu vuoi bloccare le nostre vite sessuali.

«[ride, nda] È il mio grande piano malvagio, rifondare il mondo. Ascoltate la mia voce, vi verranno le paranoie, smetterete di fare sesso e finalmente ricominceremo tutto da capo».

Perché “è solo sesso”?

«È una frase che mi dà molto fastidio. La volevo denaturalizzare e capovolgere. Ascoltando il podcast si capisce che è tutt’altro che solo sesso, considerando quanto sia totalizzante».

Totalizzante sì. Ma sembra sempre che non ci sia modo di capire o afferrare veramente il cuore del problema. Mille dati, infinite ricerche eppure siamo ancora qui a lamentarci di quanto sia tutto contraddittorio.

«Ora ci sono anche tutta una serie di articoli sul sesso secondo cui nei film ce ne sarebbe sempre meno».

Eppure sui set aumentano le richieste di coordinatori di intimità.

«Proprio perché parlare di sesso sui numeri non ha senso e la tv e il cinema ne offrono un esempio chiarissimo. Prima di Euphoria tutte le scene di sesso sembravano sparite, ma dopo Euphoria ce n’erano troppe. E a noi trentenni cosa rimane? Avevamo lo stereotipo di Matthew Mcconaughey biondissimo perfetto machista e tenero e poi abbiamo avuto Girls, Fleabag, altre cose dove ci si innamora di uno sfigato brutto che fa solo cose strane a letto. E se pensiamo che sono modelli di vita pure loro, come possiamo pretendere di capirci qualcosa?»

Cosa ci resta?

«Solo i rewatch. Io adesso sto riguardando The O.C.».

«Sono gli anni del microdosing, anche del sesso e dell'amore. Non c’è mai quella cosa lì che arriva ad ammazzarti, ti fermi sempre un po' prima. Come con il microcheating, non stai tradendo con carne e sangue ma sperimenti comunque qualcosa che ti fa sentire libero. Ed è spaventoso»


Citavi Euphoria. Nonostante in molti l’abbiano trovato tremendo, di recente The Idol ha riproposto un modello di relazione e sesso tossico e abusante. Ma se il sesso è davvero totalizzante, e se quello che vediamo plasma in positivo o in negativo la nostra opinione, in che modo casi come questo possono influenzarci?

«Io per esempio ho notato che in tutte queste nuove produzioni c’è sempre lo shame su vanilla. Anche nella prima puntata di Black Mirror 6 c’è lei che dice alla psicologa “oh no too vanilla” e quindi torna con l’ex tossico. Anche in Beef [in italiano Lo scontro, serie capolavoro prodotta da A24 e arrivata su Netflix quest'anno, nda] c’è la protagonista che dice che suo marito è “too vanilla” e quindi va con il ragazzino che è un montato mezzo violento. Eppure? Eppure sarebbe assurdo dire o sentir dire che l’ex tossico violento sia figo. È tutto il contrario di tutto».

Se una cosa sola sappiamo è che il sesso vanilla per cui pare avessimo a un certo punto anche lottato in fin dei conti non è che fosse proprio il massimo.

«Da una parte c’è questa forte tendenza all’emancipazione, al controllo di tutto ciò che è consenso, controllare le zone grigie, fare in modo che il sesso sia sempre alla luce, trasparente. Ma nella realtà è difficile che i nostri desideri corrispondano a un ideale normativo».

Lo sostiene anche il femminismo della quarta ondata, più facciamo cose pirotecniche anche nel sesso senza avere inibizioni, più siamo sperimentatori, emancipati. E quindi definitivamente liberi. Il kink a tutti i costi non rischia di causare solo un altro tipo di fomo?

«Non mi scorderò mai questa diretta che avevo visto, c’era una sex influencer che analizzava tutti i messaggi che la sua community le aveva mandato rispondendo alla domanda su quale fosse il posto più strano dove lo avevano fatto e lo facevano. Una ragazza le aveva scritto che lo faceva a letto con il suo fidanzato. I commenti erano assurdi. Che schifo, ma come, anni di lotta e ancora stai così, magari ti piace pure il missionario».

Una cosa che del sesso ti spaventa.

«La coppia monogama. La fiducia per me in generale è un grande tema. Ho pure fatto incazzare il mio commercialista perché non mi fido di lui».

Su Cosmopolitan tieni "Lessico Sentimentale", dedicata al nuovo glossario del dating. C’è un termine che manca e servirebbe?

«No, ce ne sono troppi. E sono anche tutte cose già sentite, solo che ora sono in inglese. Già siamo paralizzati per un’infinita serie di motivi. Vorrei evitare di pensare “no devo smetterla di chiedergli come sta, si potrebbe sentire orbitato da me”».

Quindi dal futuro delle relazioni ci aspettiamo solo altre storie di paura?

«Come i B-movie degli Anni '80. Attraenti e terribili, ma si ride parecchio».