Tutti dovremmo conoscere la storia di Sarah Hijazi, chi era e l'atto di coraggio di questa attivista LGBTQ egiziana che ha fatto il giro del mondo ma che, alla fine, le è costato la vita. Proprio nel mese del Pride 2020 in cui #loveislove andrebbe gridato ancora più forte, dobbiamo realizzare che questa libertà purtroppo non c'è in tutti i paesi del mondo. Se celeb come Cara Delevigne e Lili Reinhart hanno parlato apertamente del proprio orientamento sessuale, molte ragazze e ragazzi che fanno parte della comunità LGBTQ nel mondo vengono ancora imprigionati e torturati per questo. È ciò che è successo a Sarah Hijazi, che si è vista togliere libertà e dignità per aver sventolato una bandiera arcobaleno. Si è uccisa all'età di 30 anni perché non riusciva più a sopportare il dolore per le torture che proprio il suo paese le aveva inflitto durante l'incarcerazione. Noi vogliamo ricordarla e celebrarla raccontandoti la storia di Sarah Hijazi, una coraggiosa giovane donna che ha cercato di portare uguaglianza e tolleranza per tutti i giovani egiziani.

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Sarah Hijazi, chi è e perché è importante ricordare questa giovane attivista LGBTQ

Questo avvenimento ci dovrebbe ricordare in alcuni paesi del mondo parlare di diritti e uguaglianze per la comunità LGBTQ è ancora, purtroppo, un'utopia. Sarah Hijazi, attivista LGBTQ egiziana, si batteva proprio per trasformarla in realtà, in uno stato, quello egiziano, dove l'omosessualità è un reato. Non solo per i dogmi della religione islamica, ma c'è addirittura una legge che punisce l'omosessualità per essere una "pratica d’abituale depravazione". Pena: la prigione.

La vita di Sarah Hijazi, cambia radicalmente il 22 settembre 2017. Lei e un amico partecipano nel parco dell'università di Al Hazaral, al concerto dei Mashrou' Leila, una band libanese, il cui cantante è dichiaratamente omosessuale. Sarah sventola una bandiera arcobaleno per sottolineare il suo sostegno. C'è una retata da parte delle forze dell'ordine e Sarah viene arrestata e successivamente incarcerata a Il Cairo. In quel periodo il governo egiziano stava applicando una politica di terrore e tolleranza zero nei confronti di chi manifestava a favore dei diritti LGBTQ e quando la sua foto con la bandiera arcobaleno fa il giro del mondo, i leader religiosi chiedono una punizione severa.

Sarah Hijazi è stata tenuta prigioniera nel carcere de Il Cairo (la stessa di Giulio Regeni) per un anno intero. 12 mesi in cui ha subito torture psichiche e fisiche, abusi e stupri da parte della polizia egiziana. Per Sarah Hijazi è stata fatta una campagna internazionale al fine di liberarla e la scarcerazione era avvenuta 2 anni fa, con il conseguente trasferimento in Canada dove aveva ottenuto asilo politico. Da qui ha continuato la sua battaglia come attivista contro il regime egiziano nei confronti della comunità LGBTQ ma, nonostante i due anni passati, la sofferenza di Sarah Hijazi non era mai cessata. A cause delle conseguenze psicologiche dovute alle torture subite, si è uccisa nella sua casa di Toronto il 14 giugno.

La morte di Sarah Hijaz ha colpito tutti, non solo la comunità LGBTQ che ha espresso tutto il suo sostegno per onorare questa giovane attivista. Sui social, è stato reso pubblico anche il biglietto che Sarah ha voluto lasciare ai propri famigliari e amici prima di compiere l'estremo gesto: "Ho provato a sopravvivere e ho fallito, perdonatemi. L'esperienza è stata dura e sono troppo debole per resistere, perdonatemi." Ha voluto lasciare anche un ultimo messaggio al mondo:

Sei stato crudelissimo ma ti perdono.

La storia di Sarah Hijaz, la cui unica colpa è stata quella di sventolare una bandiera arcobaleno per vedersi riconosciuti i diritti che ogni essere umano dovrebbe avere, ci insegna che nel mondo si deve ancora lottare ed eventi come il Pride, sono importanti proprio per diffondere questa consapevolezza e attuare sempre il cambiamento. Per tutti.

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