Fra le mura di mattoni di Central Saint Martins, la storica università d'arte londinese a Granary Square, accade l'inaspettato, il sorprendente, talvolta l'impossibile. Come anche che lo stivale più influente e famoso dell'ultimo secolo rinasca attraverso gli sguardi di un gruppo di giovani creativi: Dr. Martens e l'MA Fashion di CSM hanno unito le forze per celebrare l'iconico 1460. Ne è nato un contest che ha visto l'assegnazione a quattro studenti di una borsa di studio grazie alla loro reinterpretazione di oltre sessant'anni di heritage e l'animo ribelle del boot che ha conquistato i cuori di Jean Paul Gaultier e Yohji Yamamoto.

Cosmopolitan Italia è volato a Londra per assistere all'atteso show finale del Master di moda e conoscere Valeria Pulici, giovane fashion designer vincitrice della borsa di studio di Dr. Martens. Con il suo punto di vista unico su sostenibilità e artigianalità, Pulici ha reinterpretato lo stivale 1460 attraverso i concetti di resistenza e di utilitywork, ricreando l'impronta di uno stivale sull'asfalto, utilizzando materiali riciclati e bioplastiche per elevare le caratteristiche del boot: durata e funzionalità. Insieme a lei abbiamo parlato di moda circolare e materie prime, di sfide passate e sogni futuri.

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Courtesy Brand

Quali sono state le ispirazioni della tua collezione?

«Sono partita dal saggio Powers of Horror di Julia Kristeva, dove l'autrice concettualizza che cos'è l'abietto. Così ho trovato questa reference che era molto intrigante, soprattutto quando spiega una cosa riluttante instilla anche una sorta di curiosità nella persona che guarda. Quindi l'abietto, secondo lei, non è una mancanza di pulizia, ma è più che altro un qualcosa che riesce a sorpassare un limite. Qualcosa che sta in mezzo che non è definito: questo è stato il punto di partenza. Ma dato che è una cosa molto concettuale da rappresentare a livello visivo, ho dovuto ricercare uno spunto personale per concretizzarlo. Mi sono ispirata un po' a quello che cerchi di evitare, ma che rimane sempre in qualche modo dentro di te, perché fondamentalmente è parte di te. Per esempio, il mio background, dove sono cresciuta, che in me richiama anche la questione su cosa sia chic e cosa no. In particolare, per me non ha senso il concetto di “timeless chic”, perché una cosa non può essere veramente timeless, a un certo punto perde di rilevanza perché deve sempre essere messa in contesto con il momento in cui avviene. Quindi ritirare sempre fuori questa idea del timeless chic, è solo come ripetere qualcosa che è già stato visto e stra rivisto. Ho voluto mixare un po' questi codici dell'essere chic con qualcosa che invece fosse quasi non curato ma intenzionalmente non curato».

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Cecilia Alba Luè
Valeria Pulici indossa la sua reinterpretazione delle Dr. Martens

Come è avvenuto il processo creativo, come hai trasformato un'idea in un capo?

«Sono andata a casa di mia nonna e ho preso qualcosa dal suo armadio. Lei aveva sempre questo stile un po' chic composto da stampe floreali, vestitini, cappotti che a me non sono mai piaciuti però riconoscevo la bellezza dei capi in sé. Quindi sono partita da quello e ho giocato un po' con il layering, quindi ho mischiato un po' i suoi abiti con i miei, indossavo un pezzo di una giacca con un'altra sopra. Insomma ho unito un po' i diversi stili per vedere cosa veniva fuori».

Come sono costruiti i capi della tua collezione?

«La costruzione è un aspetto importante perché sono composti di un materiale che faccio io ed è un materiale bioplastico fatto con tutti ingredienti naturali. Può essere facilmente riciclato se lo si rifonde, può essere usato di nuovo. Mi piace fare scultura, per questo ho usato il materiale per creare questi stampi di diversi oggetti che ho collezionato nel corso di questi mesi, tipo tutti gli oggetti che trovavo nei mercatini ma anche per terra, qualsiasi cosa che potesse attrarmi. Poi ho fatto uno stampo e da quello stampo poi ho ristampato gli oggetti in questo materiale».

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Cecilia Alba Luè
Un capo dalla collezione di Valeria Pulici

E che nome hai dato a questo materiale?

«Diciamo che è semplicemente un materiale bioplastico. Tutti i capi della mia collezione che sembrano fatti tipo di latex o pelle, in realtà sono fatti con il materiale bioplastico. Tecnicamente la mia idea era riuscire a perfezionare il materiale in modo che risultasse bello da vedere ma soprattutto che potesse riprodurre esattamente l'oggetto. È un materiale interessante perché se tu vuoi fare un made-to-measure per un evento o un red carpet – generalmente look che vengono usati una sola volta – lui fa la sua scena e poi puoi anche prenderlo e sotterrarlo sapendo che non rilascerà mai agenti chimici e un impatto sull'ambiente».

Per te produrre una moda che non sia impattante sull'ambiente è importante?

«Sì, infatti a me piace andare per mercatini perché cerco sempre di non usare tessuti nuovi. Diciamo che se riesco a riciclare è meglio».

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Courtesy Dr. Martens
Lo stivale 1460 reinterpretato da Valeria Pulici
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Courtesy Dr. Martens
Lo stivale 1460 reinterpretato da Valeria Pulici

Quale è stata la sfida più grande nella realizzazione di questa collezione?

«La corsa contro il tempo. Più che altro perché facendo io questo materiale, ci mette un po' a essere pronto. Quindo ho dovuto calcolare esattamente quanto me ne serviva e poi, quanto tempo ci avrei messo per averlo pronto. Diciamo che è stato un processo abbastanza lungo poichè ho dovuto creato uno stampo per ogni singolo oggetto».

C'è un fashion designer a cui ti ispiri o che ti piace tanto?

«Uno dei miei preferiti è Comme des Garçons, in particolare tutte le collezioni degli anni Novanta. Adesso ci sono un bel po' di persone che ritengo siano veramente importanti come Paolo Carzana, Mowalola e Jawara Alleyne».

Un tuo sogno per il futuro?

«Avere uno studio perché se hai uno spazio dove creare. Poi da lì arriva tutto il resto».