Qualche giorno dopo la fine della settimana della moda di Milano dedicata alle collezioni primavera estate 2024, su Cosmopolitan abbiamo analizzato e discusso l’esclusione di taglie non campionario da parte della stragrande maggioranza dei brand. L’attivista e content creator Ale Hilton ha ripreso sulla sua pagina Instagram il nostro articolo notando che la moda milanese ha anche un problema con l’inclusività queer. In questa lettera aperta vi spiega perché.

«Ho avuto poche esperienze nel mondo della moda e quasi tutte estenuanti. Spesso, quando prendo parte a dei fitting presso gli showroom dei brand la mia taglia non si trova e finisco per sentirmi a disagio e inadeguata. Ogni volta di ritorno a casa provo un forte senso di colpa perché penso di aver deluso e infastidito i lavoratori che si sono occupati di me negli showroom. È ovvio che parte di queste riflessioni siano frutto della mia mente e della profonda insicurezza generata da questo tipo di esperienze, a cui spesso arrivo già con il pensiero che la mia taglia molto probabilmente non ci sarà.

Durante la settimana della moda milanese da poco trascorsa, ho notato davvero poca inclusività da parte dei brand che vi hanno partecipato. I creator queer italiani erano inesistenti sia alle sfilate che in tutti gli altri eventi e questo è un grave punto a sfavore della Fashion week, perché è risaputo che la comunità queer sia da sempre strettamente connessa con il mondo della moda. Per noi l'abbigliamento non è solo un insieme di pezzi di stoffa ma è un potente strumento di comunicazione che usiamo costantemente per inviare messaggi e, non di rado, difenderci: nel mio caso, ad esempio, la moda è uno scudo che permette di sentirmi bene con me stessa nonostante la disforia di genere.

Tornando al discorso sull'inclusione, è stato molto significativo per tutta la comunità ciò che ha detto Donatella Versace durante i Sustainable fashion awards. Peccato che anche in quel contesto non ho visto nessun personaggio queer italiano. C'erano delle personalità straniere, ma nessuno del nostro Paese. Eppure qui siamo in tanti a batterci tutto l'anno, tramite i nostri contenuti social, per sensibilizzare sul tema dell'inclusività. Sia chiaro che non cerchiamo meriti, facciamo attivismo perché è giusto così, però sarebbe bello vedere un minimo di riconoscimento da parte dei Pr e Uffici stampa del settore, in cui lavorano anche diverse persone appartenenti alla comunità Lgbtq+. Dispiace vedere che proprio quest'ultime non hanno mostrato interesse nell'includere e dar voce al mondo queer, ovvero a una parte della loro stessa comunità, pur sapendo quanto essa sia legata alla moda.

Per le prossime Fashion week milanesi spero di vedere più inclusione nelle attività che animano la settimana della moda, così da dimostrare che non siamo più soli ma abbiamo l'appoggio di un settore molto importante per l'Italia. Sarebbe bello ricevere supporto da parte della stessa comunità Lgbtq+ che lavora per i grandi brand e che finora non ha mostrato nessun interesse nei nostri confronti. Anzi, la nostra presenza è stata troppo facilmente sacrificata a favore di content creator numericamente più grandi e più semplici da "gestire" a livello di taglie e immagine».