Le questioni sul tavolo sono tantissime. Salvare il pianeta dall’inquinamento e dal cambiamento climatico affinché si prospetti un futuro comune più stabile e sicuro per ogni forma di vita è la missione. Durante COP26, l’annuale conferenza delle Nazioni Unite dove i loro rappresentanti hanno studiato e trovato soluzioni in questo senso, la moda si è messa in discussione. Ridurre le emissioni di anidride carbonica entro il 2030, cambiare le regole con cui produrre e proporre prodotti senza aspettare troppo. Perché di tempo rimasto ce n’è ben poco. Fare upcycling nel 2021 è una delle soluzioni immediate che i brand hanno a disposizione. Cogliere ciò che di buono già esiste per crearne di nuovo: solo così la moda rallenta la produzione di nuovi pezzi, riutilizza e ricicla materia prima in nome di una vera e propria economia industriale circolare dove anche noi possiamo prendere parte in questo circuito virtuoso. Per capire meglio che cos'è l'upcycling moda abbiamo selezionato tre brand che della filosofia del riciclo ne hanno fatto l'unico manifesto possibile e dove noi consumatori siamo chiamati come parte attiva del progetto.



Se anche Priya Ahluwalia fa upcycling con i tuoi vestiti pre-loved

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Nel 2020 Forbes l’ha inserita nella lista degli Under 30 per l’Arte e la Cultura Europea. Il lavoro di Priya Ahluwalia non riguarda solo l'atto di creare vestiti, ma essere d’esempio affinché l’intero sistema moda cambi soprattutto negli strati più invisibili. Lei crea vestiti facendo upcycling grazie alla raccolta mirata di abiti vintage e tessuti dead-stock ancora non utilizzati. E lo fa con il suo piglio ormai riconoscibile, quello della mescolanza estetica tra sporty e folk, anni 90 e arte, viste le origini indiane e africane. Il valore del lavoro dedicato alla moda sostenibile le è stato riconosciuto con il LVMH Prize e il Queen Elizabeth II Award for British Design e oggi Priya è coinvolta in un progetto inclusivo dedicato alla raccolta di capi pre-loved aperto a tutti noi che si chiama Circulate. Insieme alla tecnologia Microsoft, si pone l’obiettivo di ridurre al massimo i costi e le emissioni della fase di recupero della materia prima. Per evitare che all’interno della filiera produttiva gli approvvigionamenti di materiali siano in eccesso rispetto alla produzione e, al contempo di mobilitarli da un paese all’altro, come spesso accade dall’India o dalla Thailandia, il programma Circulate recupera i capi esattamente nei luoghi dove sono dislocate le aziende manufatturiere del brand di Priya. Inizialmente attivo solo in Inghilterra, i programmi di espansione vedono inclusa anche l’Italia dove Ahluwalia fa lavorare il denim e dove intenderà recuperare jeans con cui fare upcycling per crearne di nuovi a km zero. Fare parte di questo progetto circolare è semplice. Priya Ahluwalia renderà visibile sulla piattaforma dedicata le esigenze circa le materie prime. Una volta che i capi che intendiamo rimettere in circolo attraverso il canale coincidono con la sua richiesta, potrai proporle via mail sotto forma di foto e descrizioni. Una volta approvati via mail, e successivamente anche dal vivo dallo staff interno, riceverai crediti da utilizzare all’interno della piattaforma di Ahluwalia. Al momento in cui scriviamo sono aperte 7 open call relative alla ricerca di jeans, trench, tessuti waterproof, velluto a coste, camicie, polo e felpe in cotone.

Le sneakers sostenibili di Helen Kirkum sono upcycling estremo che diventa realtà

Helen Kirkum crea scarpe, nello specifico sneakers, utilizzando solamente materiali di scarto provenienti dai landfills, aree dove in genere confluiscono abiti e accessori smessi, per ricomporli sotto forma di calzature. Anche qui la missione di Helen non è tanto mostrare un virtuosismo - peraltro notevole in termini di gusto e creatività- ma di contribuire a innescare un reale cambiamento nei processi produttivi legati all’ambito delle calzature. Durante il congresso a Glasgow di The Cop26, Kirkum ha presentato al Kelvingrove Art Gallery and Museum della capitale scozzese sulle rive del Kelvin, una serie di sue creazioni per stimolare il dibattito intorno all'enorme scarto avanzo legato al mondo delle calzature.

Per Helen Kirkum se il risultato finale porterà o meno alla creazione di un paio di sneakers super trendy non è importante quanto assistere alla magia che scaturisce nel processo di assemblaggio tra i materiali a disposizione. Noi aggiungiamo: le scarpe finite sono sempre dei super capolavori. Certo, il suo trascorso negli uffici stile di adidas Originals le ha lasciato una certa sensibilità sull'argomento, ma è indubbia la sua intuizione nel guardare alle scarpe smesse e/o invendute come a materia viva da smontare secondo nuove logiche e stili. Principalmente esistono due opzioni per fruire la creatività di Kirkum: scegliere un paio di sneakers già create con l'upcycling moda oppure optare per il servizio made to order, ovvero affidargli le tue vecchie scarpe da ginnastica: sarà lei a manipolarle in un make-over davvero sorprendente.

Non uno goccio d’acqua per i jeans sostenibili di Blue of a Kind "re-made in Italy"


La filosofia alla base dell’intero lavoro del duo dinamico dietro al progetto di Blue of a Kind è la somma di due visioni. Non gravare sull’ambiente, creare capi di abbigliamento, nello specifico pantaloni jeans, che siano belli e lusinghieri da indossare. Mica male come traguardo. In concreto Fabrizio Consoli di BoaK ci racconta come i jeans sono realizzati tramite un sapiente e laborioso upcycling di altri jeans. Si tratta di modelli pre-loved e opportunamente sanificati, a cui vengono tolti i rivetti e cuciture, per essere totalmente scomposti e riassemblati secondo una modelleria che guarda ai grandi classici dei jeans. Colore e tipo di lavaggio altro non sono che l’accurato corso del tempo impresso sulla tela di Genova. Niente di più. Naturalmente anche i dettagli sono importanti:

“il nostro lavoro è tanto e va cercato nei dettagli: dal tassello dell’asola bottone, utile a gestire la larghezza vita alla cinta interna, con i tessuti dead stock creiamo delle vere e proprie rifiniture che di fatto arricchiscono i jeans nel loro design”.

Un design che rimane sobrio e pulito dal sapore scandivano, aggiunge Fabrizio. Il secondo progetto dei Blue of a Kind si chiama Leftover, una linea moda sostenibile dove tessuti esistenti di stock Candiani, scarti di produzione industriale, vengono impiegati per la realizzazione di pantaloni tradizionali, bianchi o ecrù, da tingere con una modalità del tutto innovativa e virtuosa, cioè “in infusione” ad altri capi colorati. Questo processo super-sostenibile, realizzato in collaborazione con l’azienda Officina+39, si chiama Recycrom: vecchi indumenti di cotone vengono divisi per colore e sminuzzati fino ad essere resi polvere utile per ri-tingere con un ridottissimo quantitativo di acqua.

Infine chiediamo a Fabrizio di darci alcuni spunti su cui riflettere. Essere sostenibili producendo moda non è per nulla una sfida semplice: se i brand riuscissero a coordinarsi e a darsi degli standard all’interno dei quali riconoscersi sarebbe già un risultato. E noi consumatori? Pensare ai guardaroba con maggiore aspettative di longevità. Capi e accessori dovrebbero stare di più con noi e favorire una maggiore circolarità. Il futuro? Il rammendo cool e stiloso.