Ci voleva una creativa di origini brasiliane e adozione londinese per accendere un barlume di inclusione in fatto di taglie durante la settimana della moda milanese. Con un eccezionale casting composto solo da modelle mid e pluz size, Karoline Vitto ha presentato nel capoluogo meneghino la sua primavera estate 2024, grazie al sostegno di “Supported by Dolce&Gabbana”, il programma del duo creativo volto ad aiutare i giovani talenti della moda internazionale. La terza collezione di Vitto porta in passerella abiti avvolgenti, cut sensuali e dettagli preziosi, come prova schiacciante del fatto che la bellezza è oltre una taglia 0.

Com’è andato il debutto milanese?

«Benissimo, sono molto soddisfatta della collezione che abbiamo presentato e del risultato finale dello show. Anche la stampa ha dato responso positivo, così come i nostri clienti e gli amici del brand».

Cosa cambia tra sfilare a Milano e a Londra?

«Per me la moda milanese è qualità e artigianalità. Londra è un’incubatrice di talenti dove lo stile si esprime attraverso la sperimentazione. Il mio lavoro unisce entrambi questi aspetti».

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Quali sono le ispirazioni della tua ultima collezione?

«Ho voluto coniugare l’ideale di musa brasiliana ad alcune reference di una sfilata di Dolce&Gabbana del ‘92. La collezione è un ponte tra Brasile e Italia: ci sono riferimenti nascosti su ogni capo, come la stampa al rovescio che richiama la lingerie italiana e i piccoli ciondoli che ho raccolto nei mercatini vintage brasiliani».

Che ruolo hanno i dettagli metallici sui capi che crei?

«Fanno parte dei segni di riconoscimento del brand, sono presenti nel mio processo creativo da ormai tre anni. Rappresentano un “rotolo”, cioè la piega di un corpo morbido che si muove. Per me sono una celebrazione della forma femminile, decorano parti di noi che ci è stato detto di nascondere».

Quanto è importante per i designer agli esordi essere supportati da grandi nomi del sistema?

«Avviare e mantenere un marchio è impegnativo, costoso e richiede anni di tentativi. Senza l’esperienza e la storia di Dolce&Gabbana sarebbe stato essenzialmente impossibile per noi organizzare uno show di questa portata».

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Chi e cosa hanno maggior influenza sulla tua creatività?

«Dolce&Gabbana ha sempre ispirato il mio lavoro, nella sua valorizzazione di ogni silhouette femminile. Sono anche grande fan di Alaïa e del suo uso della maglieria e del jersey. Oltre al design, mi ispira la musica brasiliana»

Cosa ti ha insegnato Londra e cosa il Brasile?

«Non esiste una ricetta vincente, ognuno deve trovare il proprio processo creativo e se c’è un posto sulla Terra in cui tutti possono sperimentare la propria unicità, quello è Londra. In Brasile ho imparato invece a osservare le persone intorno a me e ad apprezzare la complessità delle forme e delle dimensioni dei corpi. Il concetto di bellezza è un’imposizione e possiamo rompere i vecchi ideali per costruire il nostro nuovo linguaggio attorno a essi».

Qual è la sfida per chi sceglie di porre l’inclusività al cuore del proprio progetto?

«Innanzitutto, trovare un produttore disposto a fornire uno stock minimo per una vasta gamma di taglie. La seconda sfida è la distribuzione: molti negozi non sono ancora convinti che esista questo target».

Un personaggio che vorresti indossasse le tue creazioni?

«Ho la fortuna di aver vestito artiste e modelle incredibili come Paloma Elsesser, ShyGirl, Sza, Precious Lee. Ashley Graham ha aperto l’ultimo show: un sogno diventato realtà. Adesso mi piacerebbe lavorare con Rihanna».

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Corpo e vestiti. Come dialogano nella tua arte?

«Il corpo è al centro del mio processo di progettazione. Tutto ciò che creo parte dalla domanda: “come posso evidenziare o ispirarmi alla figura che sta sotto gli abiti?”».

Perché una moda inclusiva deve mostrare e non nascondere?

«Passare il messaggio che le taglie più grandi non siano degne di essere mostrate è problematico. Per me non è difficile creare capi sensuali che celebrino le silhouette di taglia media e grande: ho moltissime amiche formose, e io stessa sono una donna curvy. Sono fermamente convinta che più un certo tipo di estetica è rappresentata, più se ne riesce ad apprezzare la bellezza».

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Siamo in piena crisi climatica. Cosa comporta per il tuo brand?

«Adottare un approccio sostenibile a 360° è una necessità: non solo uguaglianza e diversità, abbiamo anche una grande responsabilità ambientale».

Cosa vedi nel futuro?

«Stiamo facendo progressi verso un’industria più inclusiva e circolare, ma non abbastanza rapidamente. Attualmente esiste un enorme divario tra la sostenibilità e l’industria delle taglie forti. Spero che cambi presto»