Michele Bravi parla tanto, ridendo, fermandosi, ricominciando a fiume. Ama da sempre raccontarsi, esplorare la sua anima, trasmettere tutto quello che impara, conosce, vive. Dopo un anno di grandissimi cambiamenti e nuove esperienze, dal cinema, protagonista in Amanda, film di Carolina Cavalli, alla tv, sulla poltrona dei giudici di Amici Di Maria De Filippi, si prepara all’unico evento live che lo vedrà protagonista quest’anno, il 21 giugno a Milano. Chiamato, infatti, a inaugurare la nuova stagione di “Estate al Castello”, la rassegna di spettacolo live promossa e coordinata dal Comune di Milano nell’ambito del palinsesto “Milano è Viva”, non vede l’ora di portare in scena qualcosa di diverso dal solito sotto le stelle del Castello Sforzesco. Qualcosa che mostri un nuovo lato di sé. Perché il cambiamento descritto a parole sia evidente anche nella messa in scena. Perché il suo bisogno di distaccarsi da tutto ciò che ci si aspetta da lui sia dichiarato.

Che show vedremo?

«Non poteva essere un concerto normale. Non ho musica nuova in questo momento, sto scrivendo e l’ultimo disco aveva già avuto la sua vita live. Quando mi hanno chiesto di inaugurare la stagione dei concerti al Castello Sforzesco di Milano ho voluto trovare un’idea. Mi sono reso conto che il tema di questi ultimi mesi vissuti è stato il gioco. Ho scritto lo spettacolo per un mese e mi sono accorto che stavo parlando del gioco, ma non stavo giocando. Ho buttato tutto e in due giorni ho riscritto. Ho destrutturato lo show. Ho costruito un momento tra prosa e musica. Sarà un fiume di follia dove reciterò una parte, dove interagirò con il pubblico, dove spero si divertiranno tutti quanto me».

Da dove arriva questo bisogno di giocare?

«Non riuscivo più a scrivere. O meglio, non ne avevo neanche più bisogno. Quest’anno ho vissuto tra Roma e Milano, quando sono a Roma vivo a casa di Chiara Gamberale. Ci siamo conosciuti a un Festival, siamo diventati grandi amici. Faccio il suo coinquilino, le chiacchierate più belle sono con la sua bimba. È stata lei a regalarmi un libro che dà esercizi per riconnettersi con la propria creatività. Sono come dei giochi. Ho giocato a immergermi in una vita che non è la mia e ho fatto il sarto per una settimana, mi sono candidato per un ruolo di lavoro, ho sepolto con una pala una lista di dolori. Ho iniziato a sbloccarmi su tante cose. Mi sono chiesto quando avessi giocato l’ultima volta e non ho saputo rispondere. Mi sono ripreso questo spazio».

Sei cambiato?

«Sto imparando a fare cose sbagliate che mi permettono di giocare, che mi divertono tanto. Parlare di gioco significa parlare al proprio bambino interiore, anni di analisi su cui sto ancora lavorando. Ho sempre avuto bisogno di verbalizzare la gratitudine, ho sempre detto di essere fortunato, perché la mia passione era la mia professione ma, a furia di dirlo, avevo trasformato la mia passione in una professione. Avevo incatenato la mia creatività in un processo quasi burocratico. E forse per questo ho avuto un blocco creativo. Ora dico che la mia professione è anche una passione. Invertire queste due parole ha cambiato il significato e il mio atteggiamento. Ho capito che con la mia passione mi posso proprio divertire. Ho tolto quell’autoimposizione mentale al lavoro».

Il blocco creativo ti ha spaventato?

«Sì, non tanto perché non mi veniva niente da scrivere ma perché non ne avevo proprio bisogno. Per me la scrittura è sempre stata una cosa istintiva, necessaria. Nell’ultimo anno mi sono successe tante cose belle. E forse ho sostituito quel piacere, quella consolazione balsamica della scrittura della musica, con quello che stava succedendo nella mia vita. Solo che poi mi sono spaventato. Poi però mi sono reso conto che avevo paura di dire le cose belle. Sono sempre stato abituato a cose non felicissime. Sono famoso per far piangere la gente, ma ho capito che c’è anche un modo per raccontare emozioni più complesse, non solo la felicità, ma il gioco, la libertà di sentire più cose insieme».

Sentivi addosso un’aspettativa di quel che sei?

«Mi sono tolto lo stigma di seguire quello che le persone si aspettano di me. E di conseguenza di togliermi dalla testa tutta la burocrazia che mi ero imposto nel lavoro».

Quali sono queste cose belle che ti sono successe?

«La prima è che ho imparato ad accettare che va bene anche avere rabbia, provare un senso di vendetta, che non deve mai trasformarsi in fatti cruenti ma che può significare verbalizzare che qualcosa non mi piace. Io non lo accettavo, non accettavo le emozioni cattive perché pensavo mi rendessero una persona cattiva. Ho scoperto che si possono provare queste cose in maniera sana».

Poi?

«È successo che la vita involontariamente mi ha portato davanti a tante persone da cui prendere ispirazione e imparare quel gioco creativo costante. Se penso all’incontro con Chiara Gamberale, ai vari incontri nel cinema, ad altre firme della letteratura, a quel tipo di libertà e spudoratezza che esiste nella letteratura e meno nella musica perché è più forte il senso del mercato, ho fatto pace con tante cose che ancora dovevano trovare spazio nella mia vita. Ho trovato qualcuno con cui condividere le mie giornate».

Ti sei innamorato?

«Sì, è successo. la storia che succede quando non lo cerchi quanto è vera. Quando cercavo l'amore trovavo solo casi disperati. Ho detto non mi interessa più... ed è successo. E sono sicuro che se qualcuno mi ascolta, mi odierà tanto quanto odiavo io chi me lo diceva».

Ad Amici come è andata?

«Lavorare con Maria De Filippi, che confermo essere la professionista più grande con cui abbia mai lavorato, preparata, sicura, calma, lucida nelle scelte lavorative, nell’empatia che si crea, nella velocità di capire chi ha davanti, mi ha aiutato. Io soffro tanto l’apparire, per me la rovina del mio percorso lavorativo è sempre il fatto che deve esserci il mio corpo. Ma mi ha permesso di prendermi meno sul serio, di concedermi uno spazio di gioco. Di accettare che a volte esiste anche l’assurdità. Maria mi ha fatto fare percorso di avvicinamento alla perdita di pudore, mi ha aiutato a togliermi quell’auto imposizione di raccontare quello che secondo me bisognava raccontare. Credo mi abbia tolto la rigidità».

Ti piaci di più?

«No, è una tragedia sempre, quando andava in onda la puntata, mi scriveva, e io rispondevo “la sto sentendo”. Accendevo ma ascoltavo e basta, per non vedermi. Se mi vedo in video impazzisco. Col corpo devo ancora imparare a giocare».

Finita la tv, tornerai al cinema?

«Nel cinema sono successe tante cose belle l’anno scorso. I film hanno tempi lunghi, spero che esca quest’anno un film a cui tengo tantissimo. Ma non posso ancora sdoppiarmi e in questo momento il mio obiettivo principale è la musica».

Quando arriverà quella nuova?

«Stanno finalmente uscendo canzoni che mi fanno sentire soddisfatto. Il pubblico è cambiato, non mi sento più tra i giovani. Spero di uscire con nuova musica entro l’anno, non so se sarà una sola canzone o un album. Ma ora che mi sto sbloccando, non vedo l’ora di far ascoltare».