Marco Mengoni si prepara al suo secondo Eurovision Song Contest. Era il 2013 quando per la prima volta arrivava sul più grande palcoscenico musicale che unisce i paesi d’Europa e non solo. Cantava “L’Essenziale”, brano con cui aveva vinto il Festival di Sanremo e dava inizio a quella che, anno dopo anno, è diventata una tradizione attesa e sempre più seguita anche in Italia. Torna quest’anno con “Due vite”, brano certificato triplo platino, dopo aver rivinto il Festival, portando in scena un dialogo tra conscio e inconscio, con l’aiuto del grande performer Yoann Borgeois. Mentre la Sisal lo dà per quinto favorito alla vittoria, il cantante di Ronciglione non pensa alle classifiche, ai voti e alla competizione ma si concentra sulla bellezza di entrare in contatto con le culture e le musiche del mondo e sceglie di urlare un messaggio di unione e pace, dalla città che ha visto nascere i Beatles. Siamo a Liverpool infatti e non a Kiev, come avrebbe dovuto essere, perché la guerra è ancora in corso. Un’edizione diversa quindi, che terrà al centro l’Ucraina, tra esibizioni e messaggi di ospiti e partecipanti. A pochi giorni dalla finale del 13 maggio, che sarà trasmessa in diretta su Rai Uno, Mengoni incontra la stampa italiana per raccontare questo nuovo viaggio che lo riporterà live in Europa in autunno, dove già in questi giorni ha collezionato date sold out, in attesa di pubblicare "Materia (Prisma)", il terzo capitolo del suo progetto discografico in uscita il 26 maggio e degli stadi estivi in partenza a giugno.

Come stai?
«Il mondo di Eurovison è magico e fantastico. Ci sono un sacco di cose da fare e sono molto soddisfatto di quanto sono migliorato in inglese. Posso dire che ho già confermato l’aspettativa di questo viaggio. Posso fare discorsi in senso compiuto con facilità. Ma soprattutto mi sto divertendo, finalmente».

Dieci anni fa era diverso?
«Sentivo sicuramente di più la pressione. Ora me la sto vivendo un po’ come ho vissuto Sanremo. Sono più leggero, maturo. In questi dieci anni ho avuto l’opportunità di fare esperienze, di capire cosa vuol dire Eurovision e di quanto sia importante questo palco. È molto più bello essere qui questa volta, ci sono le prove, le interviste, serve tanta energia, eppure vivo tutto in modo completamente diverso. Voglio proprio divertirmi».

Per un attimo è sembrato che non volessi portare “Due Vite”. Cosa ti ha convinto a cantarla anche in Europa?
«Dopo Sanremo mi sono preso del tempo per riascoltare i brani che avevo, sono tornato in studio a finire il disco. Ci ho pensato molto perché tengo tanto alla chiusura del progetto "Materia", a "Prisma", questo terzo capitolo, ai brani al suo interno che saranno importanti nella mia carriera. Mi sono lasciato una porta aperta per avere il tempo di capire se potevano esserci dei pezzi più “giusti” per questo palco. Ma alla fine, riflettendo, “Due Vite” è un bel viaggio e descrive tantissimo gli ultimi anni della mia vita personale, del lavoro che ho fatto su di me. E così forse era giusto che io condividessi con l’Europa la parte più intima di me, che è molto viva in questo momento. È stata la scelta giusta».

Cosa vedremo sul palco?
«Era molto difficile mettere in scena il senso di “Due vite”, della relazione tra conscio e inconscio, tra il mondo del sogno e quello della verità. Ho messo in scena un alternarsi di vita reale e vita onirica, profonda e emotiva, per trovare equilibrio. Yoann Borgeois è un artista che stimo molto, lavora su spazi vuoti, rimbalzando su un tappeto elastico. Con lui ci sarà un altro performer, descriveranno al meglio la relazione tra queste due parti che canto nel brano».

Hai conosciuto gli altri partecipanti?
«Non tutti, ci sono 37 paesi, neanche a Sanremo si riesce a incontrarsi tutti. Però ho parlato con alcuni di loro. È molto bello».

Ti piacciono le gare?
«Non mi piace la parola gara o la parola competizione, mi mettono pressione. Pensare a una classifica, farsi lo sgambetto, non mi sembra lo spirito neanche di quest’Eurovision. Amo il sottotitolo di quest’anno, “United by music”. Credo che la musica qui debba servire a mandare messaggi e urlarli, soprattutto in questo momento storico. La gara mi sa di negativo. Ognuno porta il suo e spero che ognuno di noi porti messaggi giusti».

Il tuo qual è?
«La mia musica è un messaggero di pace e amore, ma credo anche quella dei 37 paesi che stanno concorrendo qui a Eurovision. Abbiamo l’opportunità, attraverso la musica, di urlare i nostri messaggi, di sensibilizzare. Io urlo per la pace. Mi sarebbe piaciuto essere a Kiev, avrebbe voluto dire che la guerra è finita. E che quindi non ci sono più persone che soffrono in quel modo. Essere qui significa anche mostrare all’Europa che la musica può, unendosi, mandare messaggi di assoluta pace. Sono contrario a qualsiasi guerra in qualsiasi momento. Scrivo canzoni d’amore, rifletto su tanti temi. L’utilità della musica è divulgare messaggi».

In gara quest’anno ci sono altri italiani, Alessandra Mele per la Norvegia e i toscani Piqued Jacks per San Marino. Vi siete incontrati?
«Non ho ancora incontrato Alessandra Mele, ma ho parlato con i ragazzi di San Marino. Siamo contenti di essere nello stesso posto a spalleggiarci. Abbiamo scherzato anche sul voto di San Marino, quest’anno andrà all’Italia? (ride ndr.) Ma del voto ripeto mi interessa poco, mi interessa star bene e divertirmi. La cosa importante è stare bene con la carriera che stai facendo e io finalmente mi sento sulla strada giusta, più centrato e felice».

Vivi quest’esperienza anche come trampolino per un proseguo della tua carriera europea?
«La mia carriera europea era già iniziata nel 2013, ho iniziato a fare dischi in spagnolo, avevo già fatto un tour nel 2019 in Europa poco prima della pandemia. Ovviamente è un onore anche per questo essere qui quest’anno, a distanza di dieci anni, per riconfermare e magari aumentare ancora di più il bacino di ascoltatori. È un prolungamento di quel trampolino lì. Ho fatto sold out prima di arrivare a Liverpool, in autunno suonerò nei palazzetti, sono posti grandi che per ora non avevo mai fatto e sono molto contento di andarmi a confrontare lì, vedere quante persone hanno aderito alla mia musica e ai miei messaggi. Se non mi butto non posso scoprirlo».

Pubblicherai qualcosa per l’estero?
«Mi piacerebbe pubblicare “Due Vite” in più versioni. Un disco non lo so, aspettiamo che esca in Italia e poi vediamo. Ci sto pensando».

Liverpool, terra dei Beatles. Ti hanno influenzato?
«È uno dei gruppi che da sempre mi ha ispirato, i Beatles hanno influenzato la musica pop e senza di loro forse non saremmo qui a parlare. Per me hanno le sfumature di tutti i colori dell’arcobaleno. Hanno scritto pezzi che parlano di pace, è bello essere qui all’Eurovision, uniti per questo».

Il tuo collega Mahmood canterà durante la finale “Imagine” di Jhon Lennon.
«Andrà a cantare uno dei pezzi più importanti, come io ho fatto a Sanremo portando "Let It Be". Credo sia bello che l’Eurovision abbia richiamato e scelto tra tantissimi partecipanti un artista italiano come Alessandro. Non credo debba avere ansia. Io spero di tenerla lontano. Non ti permette di goderti l’esibizione. Ovviamente potrò fare errori e sbagliare, magari succederà. Ma gli errori vanno bene, fanno parte della vita».

In questi giorni sei anche candidato ai David di Donatello con "Caro Amore Lontanissimo", colonna sonora de “Il colibrì” di Francesca Archibugi.
«Sono candidato per la prima volta nella vita ai David, è una figata incredibile e quindi mi dispiace mortalmente non poter essere lì. È una nomination importante, un brano importante, con un film bellissimo… Ma non ho ancora un clone».

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