Fausto "Lama" Zanardelli e Francesca "California" Mesiano insieme sono i Coma Cose. Coppia nella musica e nella vita, sono due anime gentili che vivono di arte e amano parlare di musica molto di più che della loro relazione. Eppure è proprio da lì che nasce la loro storia artistica, quando lui nel 2016 chiede alla sua fidanzata di cantare.

E anche questo nuovo disco arriva a due anni di distanza dal Festival di Sanremo dove “Fiamme negli occhi” ha cambiato tutto, dentro e fuori di loro. L'album si intitola Un meraviglioso modo di salvarsi e arriva dopo la sovraesposizione, la promozione, i concerti, il rumore del grande successo . Un momento destabilizzante, che li ha messi alla prova, che ha richiesto una pausa necessaria. Di nuovo artistica ma anche personale. Staccarsi, dai social, dal mondo, da loro, per ritrovarsi. Più forti e uniti di prima.

Il disco, pubblicato per Asian Fake/Epic Records Italy/Sony Music Italy, è la risposta a tante domande che i due artisti si sono fatti in questi ultimi mesi, dal momento in cui si sono sentiti persi. Una sorta di diario personale che parla di loro e del mondo attorno, dove l’attualità entra protagonista, sempre filtrata dal loro sguardo personale, scegliendo di tornare liberi, ritrovandosi. Per ripartire più consapevoli, pronti a incontrare più forti di prima il pubblico nei live previsti per la primavera del 2023.

Da cosa dovete salvarvi?

Fausto: «Da tante cose. Abbiamo sentito il bisogno di salvarci forse da noi stessi e da quello che ci circondava. Siamo partiti dal niente, il nostro progetto era una scommessa. E siamo arrivati a Sanremo. Quando arrivi lì succedono tante cose, arriva un altro tipo di pubblico, di giornalismo, di contesti in cui proporsi… Ci siamo sentiti spaesati».

California: «E anche troppo definiti. Come dentro a un’etichetta in cui non ci rispecchiavamo più».

Quale etichetta?

Fausto: «Dovevamo essere un duo, suonare urban, rispettare le aspettative. Senza più sapere chi eravamo davvero. Abbiamo avuto bisogno di riappropiarci delle nostre identità più intime. Non solo artistiche. E ritrovarci. Perché se non funzioniamo come coppia i Coma Cose finiscono».

C’è stata una crisi?

C: «Avere un’esposizione così grande ti porta inevitabilmente ad avere delle responsabilità, per noi è stato sentirci troppo responsabili l’uno dell’altro. Insieme si divide tutto, ma allo stesso tempo ti senti togliere un po’ di libertà personale. In una coppia questo aspetto è complesso. Siamo una coppia, siamo due persone, ma essere identificati solo come duo artistico toglie il bello di essere te stesso, trovando la leggerezza di stare con l’altro».

F. «Non c’è stata una crepa sentimentale, ma dovevamo ricercare la nostra parte più intima. Cercarsi nel profondo è un percorso che va fatto anche in solitaria. Prima di cominciare il disco dovevamo separarci un attimo per riflettere. Fare lavoro e essere una coppia, porta a rivolgerti al tuo compagno come collaboratore. Ci siamo allontanati geograficamente, per un mesetto. Io volevo scrivere, ripulire. E da lì ho scritto “Sei di vetro” che le ho mandato. Con quella canzone abbiamo capito che ce n’era ancora. Abbiamo tenuto il provino anche per dare un senso di verità, di romanticismo, di quel momento. Abbiamo scritto anche un brano sulla crisi, ma non lo abbiamo voluto mettere nel disco. Non volevamo parlare solo di questo. Questo è un disco che parla del mondo»

Le pause servono?

C. «Servono a riappropiarsi della propria libertà come persone. La pausa più grande è stata dai social. Non si può scegliere di vivere e fare qualcosa di creativo senza avere un telefono. Si è obbligati a condividere, parlare allo schermo, il mondo oggi va così. Ma rischiavamo di tenere focus sui nostri gatti, quando noi vogliamo solo che si parli di musica. È normale che ora interessi anche il costume più della nostra produzione artigianale, ma non ce l’aspettavamo. Ci siamo ritrovati ad aver bisogno di trovare qualcosa di vero, di libero, di nostro, che ci rappresentasse. Il modo più giusto è stato staccarci totalmente dalle imposizioni, sotto diversi punti di vista, e ci siamo ritrovati ad avere un sacco di tempo per scavare dentro noi stessi e capire come siamo oggi, chi siamo, cercando di costruire chi poi saremo domani. E siamo molto contenti del risultato. Abbiamo interrotto il confronto costante con il resto delle cose che succedono, senza guardare gli altri artisti o la vita delle persone. Ci siamo concentrati di noi stessi. Un privilegio figo».

F. «È stata una necessità all’inizio. È come smettere di fumare. Adesso che stiamo tornando sui social c’è la difficoltà, ti dà un po’ fastidio ricominciare».

Ora che riparte tutto, avete paura di quello che potrà succedere?

C: «È una paura che c’è sempre. Ma abbiamo già affrontato una volta questo problema, ora siamo più pronti».

Quindi ora come state?

F: «Il risultato è questo disco, ci siamo riappropriati del piacere di suonare la musica, senza paletti. Abbiamo affrontato tanti generi, ci siamo sbizzarriti, senza cadere nella trappola di fare per forza brani insieme. È impossibile che due persone la pensino uguale su temi sociali o etici. Sembra una banalità, ma era una barriera che non eravamo riusciti a sfondare e si è aperto un vaso di Pandora di creatività»

Chi è California e chi è Francesca?

C: «È una domanda che mi faccio ciclicamente. Non lo so chi sono, e per fortuna. È una delle cose che ricerco sempre nella vita di tutti i giorni con il desiderio che nessuno si senta costretto dalla propria identità. Non avrei mai pensato di fare la cantante. Ho studiato scenografia e ho lavorato con un falegname per cinque anni, pensavo di continuare a lavorare nella costruzione di spazi e oggetti. Non mi ero mai approcciata alla musica prima di conoscere Fausto. Nei primi due anni insieme escludevo di fare questo lavoro, ero brava a cantare come chiunque. Però, complice un momento di vita in cui quello che facevo prima era arrivato a un momento di stallo, ho creduto a Fausto, al suo bagaglio di scrittura e musica. Mi sono buttata».

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Mattia Guolo

Ti manca lavorare con la materia?

C. «Mi manca parecchio, cerco di trovare palliativi per costruire qualcosa, lo faccio in piccolo ogni giorno, ma vorrei avere un laboratorio un giorno per potermi esprimere in grande».

Fausto tu invece?

«Nasco come appassionato di musica, il primo linguaggio che ho conosciuto è stato il rap perché i miei genitori non amavano la musica, le lezioni di chitarra non erano contemplate. E farlo a metà negli anni '90 era molto punk. A 19 anni mi sono emancipato e ho abbracciato gli strumenti. Oggi vedo filoni musicali che vengono reiterati in modo pedissequo e anche sterile… Lo dico da anziano di questa disciplina musicale. Ho visto tante ere, faccio fatica a trovare entusiasmo adesso. Se avessi 16 anni spaccherei tutto, oggi è tutto uguale. Facciamoci delle domande, anche esistenziali, sulla musica».

Questo disco vi ha salvati?

F: «Abbiamo cercato di salvarci, sappiamo che siamo in continuo cambiamento. Abbiamo voglia tutti i giorni di capirci e accettarci, seguendo l’evoluzione normale della nostra personalità. Forse essere liberi è proprio questo continuare a ricercare il proprio cambiamento».

C: «Questo disco è un viaggio, Andiamo a scavare nei ricordi, nel nostro rapporto. La seconda parte del disco è più crepuscolare, un’esperienza psicanalitica».

E noi che ascoltiamo da cosa dobbiamo salvarci?

C: «Ognuno da qualcosa di diverso. Ma il nostro goal è invitare l’ascoltatore a porsi questa domanda».