Se ti identifichi come donna è molto probabile che, almeno una volta nella vita, ti sarai trovata per strada ad aver paura per la tua sicurezza. Ancora più probabile è che la cosa si ripeta piuttosto spesso al punto da arrivare a non farci più caso. È buio? Cambiamo strada. Qualcuno ci segue? Facciamo finta di telefonare a un'amica. È tardi? Chiediamo a qualcuno di riaccompagnarci. Ci hanno cresciute dicendoci di "stare attente" e noi abbiamo interiorizzato la paura e ci siamo create i nostri trucchi, i nostri metodi di sopravvivenza. Eppure spesso nulla di tutto questo basta. Non è bastato a Sarah Everard, la trentatreenne scomparsa a Londra la settimana scorsa dopo aver lasciato la casa di un amico alle nove di sera. Di lei si sono perse le tracce, un ufficiale di polizia è stato arrestato perché sospettato del suo omicidio e, intanto, sui social il suo caso ha fatto scoppiare il dibattito sulla sicurezza in un Paese dove l'80% delle donne racconta di aver subito molestie in un luogo pubblico.

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"Per tutte quelle donne che scrivono ai loro compagni per far loro sapere che sono tornate a casa sane e salve, che la sera indossano scarpe basse per correre più velocemente, che tengono le chiavi in ​​mano pronte per l'uso, non è colpa vostra. Non lo è mai. Molte di noi hanno storie di aggressioni. Non è mai colpa nostra". Così scrive su Twitter Anna Yearley, executive director della ONG Reprieve ma è solo una delle migliaia di voci arrabbiate, addolorate, stufe e decise a lottare che in questi giorni si stanno riversando sui social per dire che non è normale che per le donne avere paura sia la condizione di default. Il caso Everard sta aprendo un dibattito che esonda dai confini del Regno Unito perché riguarda tutte le donne e tutte le strade, da Venezia a Barcellona, da Londra a Delhi. La domanda è: di chi è la responsabilità? Perché a furia di dirci di "stare attente" la società sembra suggerire che ci sia in nostro potere evitare le aggressioni. Ma come? Vestendoci in un certo modo? Comprando spray al peperoncino? Non uscendo di casa? La verità è che in nessuno di questi casi siamo davvero al sicuro e lo sappiamo tutte.

Tra di noi ci scambiamo consigli: che zone evitare, come attivare il tasto SOS nel nostro smartphone (è una funzionalità che esiste sia per IOS che per Android) o chi chiamare in caso di emergenza. Ci sosteniamo l'un l'altra e aspettiamo che l'amica sia arrivata a casa prima di addormentarci. Ma il punto è che - a conti fatti - la responsabilità non è nostra. Non sarebbe il caso che gli uomini iniziassero a sentirsi coinvolti dal problema? Su Twitter un utente scrive così: "Vivo a meno di cinque minuti da dove è scomparsa Sarah Everard. Tutti sono in allerta. Oltre lasciare spazio alle donne per strada e a mantenere il volto visibile, c'è qualcos'altro che gli uomini possono ragionevolmente fare per ridurre il fattore ansia/paura?". Ne è nato un bel dibattito: c'è chi consiglia agli uomini di cambiare strada piuttosto che camminare dietro a una donna mettendola a disagio; chi suggerisce di "fare rumore" per mostrare che non si ha nulla da nascondere; chi ricorda loro di fare attenzione ai dettagli e intervenire sempre quando notano qualcosa di strano. Sembra un discorso banale, ma a quanto pare non lo è.

Come spiega il The Guardian, nei discorsi sulla paura delle donne manca ancora la componente maschile. Gli uomini il più delle volte si sentono coinvolti solo quando vengono toccate direttamente le loro sorelle, amiche o ragazze. Non è ancora entrata nella nostra cultura l'idea che spetti a loro cambiare il proprio comportamento perché la città diventi un luogo più sicuro per tutti, l'idea che si debba insegnare agli uomini a rispettare le donne, a non sessualizzarle, a valorizzare il consenso e a riconoscere il proprio privilegio. Manca una vera assunzione di responsabilità a livello sociale, politico e culturale. E così c'è ancora chi minimizza. "Se un'amica ti chiede di accompagnarla in quello che normalmente considereresti un viaggio sicuro, non giudicarla mai e non dirle mai che è drammatica", scrive infatti una ragazza su Twitter, "Credimi, vorremmo anche noi poter andare da sole!".