Più o meno un anno fa i giornali di tutto il mondo annunciavano la sentenza di condanna per stupro di terzo grado e atti sessuali di primo grado di Harvey Weinstein, decretando di fatto la vittoria delle decine e decine di donne - tutte ex dipendenti, attrici o risorse interne alla casa di produzione del magnate - che per anni avevano subito molestie sul lavoro di ogni tipo. 23 anni di carcere, è stato il verdetto: il caso è chiuso, almeno rispetto agli abusi di Weinstein.

Ma è il #MeToo a non esserlo affatto. La sua è una strada ancora lunga, come hanno raccontato le attiviste che, dall'anno in cui è scoppiato il caso (era il 2017), non hanno mai perso la voce. Manifestazioni, sit-in, incontri: hanno parlato ovunque, sia le donne per cui Harvey Weinstein è stato condannato (Miriam Haley e Jessica Mann), sia quelle per le quali ufficialmente non c'è stata giustizia, se non quella universale data dal fatto che l'ex produttore di Hollywood ora è in carcere. E ci resterà per anni.

victim former actress jessica mann arrives for the sentencing of movie producer harvey weinstein at manhattan criminal court on march 11, 2020 in new york   harvey weinstein faces up to 29 years in prison when he is sentenced by a new york judge march 11, 2020, two weeks after he was convicted of rape and sexual assault the ex hollywood titan will be taken from the notorious rikers island jail to the manhattan criminal court to learn his fate at a hearing starting at 930 am 1330 gmt weinstein was found guilty of a criminal sexual act in the first degree and rape in the third degree on february 24, in a verdict hailed by the metoo movement photo by bryan r smith  afp photo by bryan r smithafp via getty imagespinterest
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Jessica Mann arriva in tribunale l’11 marzo 2020, giorno della sentenza di Harvey Weinstein.

Il caso Weinsten - scatenato dalla doppia inchiesta del New York Times e del New Yorker scattata nel 2017 dopo che le prime accuse di abusi sessuali e violenze sono venute fuori - ha decisamente aperto un vaso di Pandora. Giustizia è stata fatta, per un certo verso. Il #MeToo aperto dall'attrice Alyssa Milano con un post social che ha davvero fatto tremare il mondo dello showbiz americano, ora è una realtà, una necessità, un fatto storico e culturale.

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Così come lo è il movimento Silence Breakers, cui appartengono tutte quelle donne che hanno accusato ma le cui testimonianze non sono state ritenute valide o attendibili per la causa in corso, sia a New York per il quale Weinsten è stato già condannato nel 2020, sia quella a Los Angeles, dove ci sono ancora 11 capi d'imputazione a pendere su di lui, con lo spettro di almeno 140 anni di prigione se venissero tutti comprovati.

Caitlin Dulany, attrice e accusatrice di Weinstein e grande voce del Silence Breakers Movement, ha raccontato a Variety, a un anno dalla sentenza, di trovarsi in un'area grigia, in una sorta di limbo.

Se la vediamo in senso assoluto, giustizia è stata fatta. Weinstein sarà in carcere per i prossimi 23 anni per i crimini che ha commesso contro le donne, crimini che lui ancora nega e nonostante questo la giuria ha creduto a queste donne. C'è molta giustizia in questo.

Nonostante non sia stata ascoltata in tribunale, la Dulany ha lanciato una class action per risarcire le vittime con circa 20 milioni di dollari, che però è naufragata senza un accordo, senza una giustizia che fosse davvero per tutte. Lei ci spera ancora, che sia una vittoria di classe e non di singoli casi, e si batte per questo.

Le ultime news dicono che un risarcimento per alcune delle vittime di Weinstein è stato approvato: a gennaio 2021 il piano di liquidazione della sua società di produzione ormai in bancarotta ha fruttato 17 milioni di dollari, che saranno equamente divisi tra alcune delle donne coinvolte. Non tutte però, avranno almeno questo riconoscimento economico: in totale le donne che hanno alzato la voce contro Weinstein sono 105 e sembra assurdo (ma è così) che lui sia stato condannato solo per due di questi casi.

Quella del risarcimento è un boccone amaro e controverso per diverse donne coinvolte. E se è vero che è stato votato dall'84% di loro, è anche un fatto che per ottenere il risarcimento le loro testimonianze dovranno nuovamente passare al vaglio di una giuria. Ogni vittima dovrà raccontare come è stata assalita e abusata, nell'ordine di capire chi ha subito più violenza, chi ha sofferto di più. Così che la giuria possa decidere come dividere la somma in base all'entità dell'abuso. In più, per ottenere il risarcimento, le vittime dovranno firmare un documento che assolve Weinstein da ogni altra responsabilità.

Anche chi ha firmato per ottenere il risarcimento vede in questa svolta un ricatto etico e morale che punta a mettere un punto definitivo su questa storia, anche se ancora per molte protagoniste della vicenda, un punto non ce l'ha.

Il movimento #MeToo, cosa è diventato oggi

La sentenza di Weinstein ha aperto uno scrigno di abusi e ricatti sia emotivi che economici, di promesse fondate su violenza e assalto sessuale con protagoniste donne che, spesso giovanissime, sono state colpite dal potente di turno senza potersi difendere. Il #MeToo oggi è una scia di silenzi spezzati stratificati su più livelli: c'è il caso Jeffrey Epstein, morto suicida in carcere mentre aspettava di conoscere l'entità della condanna per abusi e sfruttamento sessuale di minori. Per anni intoccabile e amico dei grandi della politica e del costume americano (così come la compagna Ghislaine Maxwell, attualmente in carcere), Epstein ha nuovamente scatenato una scia di testimonianze e prese di coscienza da parte di chi ha subito in silenzio, per paura di non essere creduta.

Recentemente, Evan Rachel Wood ha pubblicamente accusato il suo ex partner Brian Warner AKA Marilyn Manson di aver abusato di lei per anni, non solo in senso fisico ma anche psicologico, dando voce alle decine di vittime che avevano vissuto la sua stessa situazione e avevano già provato a farsi sentire, senza riuscirci. L'attrice di Westworld si è fatta portavoce in un momento storico che permette questo tipo di battaglia: prima del #MeToo non era fattibile, inutile girarci intorno.

Anche le serie tv stanno provando a raccontarlo, questo momento. The Morning Show con Jennifer Aniston ha provato a fotografare la situazione raccontando una storia molto simile a quella avvenuta nel mondo reale, con un coraggio mai sfruttato prima.

E a questo punto la domanda è lecita: il #MeToo è bastato a sradicare da certi ambienti (non solo professionali ma anche familiari) una certa cultura sessista e patriarcale? A dar voce alle donne che subiscono violenza? La risposta è, ovviamente, no. C'è ancora molta strada da fare. I numeri che raccontano quanta violenza c'è ancora tra le sole mura domestiche e quante denunce vengono ancora inascoltate da chi dovrebbe accoglierle parlano chiaro. Un po' di strada, però, è stata fatta: riconoscerlo, a un anno da quella storica sentenza ad Harvey Weinstein, non può che avvalorarla.