A quanti anni hai perso la verginità? La domanda può essere più complessa di quanto sembri. Rebel Wilson in questi giorni ha fatto sapere al mondo di averla persa a 35 anni. «L’ho detto per rassicurare i ragazzi, dato che non tutti perdono la propria verginità da adolescenti», ha dichiarato la comica e attrice australiana nel pubblicizzare la sua biografia Rebel Rising in uscita oggi negli USA e il fine potrebbe essere apprezzabile. Se la dichiarazione ha fatto scalpore è perché la pressione della perdita della verginità è reale, ieri come oggi, eppure la stessa parola ultimamente suona anacronistica e la retorica del momento giusto serve a poco. C'è da chiedersi che valore abbia oggi la verginità e persino cosa significhi. Ora che sappiamo che non ha a che vedere con un cambiamento fisico, ora che la comunità LGBT+ ha sottolineato quanto sia un concetto applicabile solo alle relazioni eterosessuali, ora che conosciamo quanto i test di verginità nel mondo siano ancora usati per sottomettere le donne, ha senso continuare a parlarne?

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«Le persone possono aspettare finché si sentono pronte o darsi del tempo fino a quando non ci si senta un po’ più maturi», ha dichiarato Wilson, «Ovviamente non è necessario aspettare trent’anni come me, ma non bisogna sentirsi alcuna pressione addosso». L'attrice ha raccontato delle bugie inventate per eludere le domande insistenti sulle sue esperienze e di come il concetto di verginità si porti dietro un vero e proprio stigma. «Se fossi nata 20 anni dopo avrei probabilmente sperimentato maggiormente la sessualità, avrei capito che sono attratta dagli uomini ma anche dalle donne», ha spiegato riferendosi al suo coming out come bisessuale e alla sua relazione con Ramona Agruma, «Mi ci sono voluti anni per provare sentimenti per una donna e stare in pace con me stessa». Eppure ultimamente sono proprio le persone LGBT+ a mettere in dubbio l'idea stessa di verginità.

Il termine ha una storia lunga e assai poco lineare: gli antichi greci avevano diversi termini per indicare la verginità che poteva essere metaforica, astratta o fisica. L’imene ha invece iniziato ad avere un ruolo nel XVI secolo (creando il legame tra verginità e penetrazione), ma a lungo ci sono stati pensieri discordanti in proposito. Secondo Hanne Blank autrice di Virgin: The Untouched History «la verginità è un’idea culturale profondamente mutevole e malleabile con una storia immensa, necessaria e per lo più nascosta». Si tratta di una storia che ha per lo più a che fare con le donne e il controllo dei loro corpi: l'idea che il primo rapporto penetrativo lasciasse un segno indelebile, infatti, era un modo per limitare la sessualità femminile e assicurarsi che l'attività riproduttiva avvenisse solo all'interno del matrimonio.

Per secoli le donne dovevano arrivare vergini alla prima notte di nozze con il rischio, se non dimostravano la loro purezza tra le lenzuola, di venire ripudiate o addirittura imprigionate o uccise. Oggi sappiamo che la prima penetrazione non lascia necessariamente un segno ed è a tutti gli effetti impossibile verificare la differenza tra una donna "vergine" e una che non lo è. Nel 2018 l'Oms ha pubblicato un rapporto in cui afferma chiaramente che i virginity test, ancora diffusi in diversi Paesi dell'Africa, dell'Asia e del Medio Oriente, sono «una pratica medicalmente inutile, umiliante e traumatica, basata su un vero e proprio 'mito'». Ma allora cosa resta della verginità?

Bisognerebbe chiederlo ai ragazzi LGBT+ perché l'idea di verginità in senso stretto non è mai stata applicabile alle persone omosessuali. «Non avevo riferimenti. Le storie al cinema e nella letteratura mostravano tutte scenari con una coppia etero. Si è trattato di una scoperta», ha raccontato Isabel, 16 anni, a Refinery29. Dalle testimonianze emerge come sia necessario quantomeno riscrivere l'idea che abbiamo della verginità e iniziare a guardare alle esperienze sessuali come qualcosa di più ampio che includa anche il benessere e il piacere e non solo l'elenco delle pratiche. «Penso che sia un po' stupido decidere arbitrariamente dove sia il limite - 'questo è sesso e questo no' - specialmente quando la verginità è un'idea così eteronormativa», commenta infatti Charlotte, 22 anni. Forse, quindi, non è più solo questione di "quando", ma anche e soprattutto di "cosa" e "come", aprendosi al regno di ciò che è più intimo e soggettivo.