Femminismo.

Femminismo di Chiara Ferragni tutto è possibile la donna la modella la mamma l’imprenditrice digitale la presentatrice di Sanremo.

Femminismo d’allarme contro le ancelle del patriarcato che neanche se ne accorgono

Femminismo lusso impegnato della maglietta Dior We Should All be feminist, 2017, con la frase «Why Have There Been No Great Women Artists?», 530 euro circa, a righe.

Femminismo sempre Dior ma cambia la frase «femininity, the Trap», di Simone De Beauvoir, di nuovo cotone ma senza righe. A questo giro euro 650, jersey di cotone e lino ecru.

Femminismo di quelle che ti farebbero notare che era il 1929 quando Jean-Paul [Sartre, ndr.], pensatore esistenzialista, preoccupato per la carriera della futura autrice Simone, giovane e molto innamorata di lui, le spiegò che era utile per entrambi impostare il loro rapporto in un certo modo: contratto di due anni insieme, dopodiché frequentazione a saltello. Sartre fu convincente: era meglio non sposarsi, l’amore avrebbe sicuramente perso lo smalto dell’inizio. Il colpo di genio (di lui) fu inserire nell’accordo la conveniente clausola: «Il nostro è un amore necessario, ci conviene conoscere anche degli amori contingenti». La povera Simone accettò ma le cronache non la raccontano contenta del contratto.

Femminismo di quelle che la femininity altro che trappola, l’hanno usata come una lancia.

Femminismo su Twitter.

Femminismo su Instagram.

Femminismo operaio, femminismo silenzioso offline di sostegno.

Femminismo di Chimamanda N. Adichie.

Femminismo di Beyoncé anche lei con la frase di Chimamanda ma se la fotografi a tradimento e non è l’angolo che dice lei ti fa licenziare. Ci tiene che si sappia che è figa, sempre ventottenne e massimo taglia 42.

Femminismo per gli assorbenti e non per gli antidolorifici, mi costano dieci euro la scatolina. Anzi tenetevi i soldi ridatemi la salute che ho perso in questi anni di pasticche per i crampi.

Femminismo Terf («Trans Exclusionary Radical Feminists», «femministe radicali trans escludenti»). Continuo a non capire ma quello che è più grave da parte mia è che non me ne importa niente di capire. Credo siano i Cobas del femminismo.

Femminismo a oltranza.

Femminismo moderato.

Femminismo Metoo.

Femminismo delle amiche del maschio.

Femminismo della giungla fingendo docilità e fregando il maschio.

Femminismo di quelle che si fanno mantenere.

Femminismo di quelle che si mantengono da sole.

Femminismo che se tifi solo per quelle che ce l’hanno fatta e che sono buoni esempi di riuscita allora non sei femminista. Troppo facile.

Femminismo delle quote rosa.

Femminismo che dobbiamo esserci a ogni panel anche alla festa dei gigli a Nola, a portare i gigli.

Femminismo che io devo dire avvocata e mi fanno troppo male le orecchie, lasciatemi stare.

Femminismo delle escort che il mestiere lo fanno senza sacrifici.

Femminismo che servirebbero decine di asili nido pubblici aperti 24 ore dove li puoi lasciare pure quando non li sopporti più.

Femminismo di non fare figli.

Femminismo di farli.

Femminismo di Natalia Aspesi che li ho guardati tutti nel catalogo ma purtroppo è l’unico modello che mi piace, mi sta bene e non mi segna la faccia:

«Le imbecilli furono, sono le donne: infatti sono gli uomini che non hanno possibilità di sopravvivenza senza la famiglia e invece hanno indotto le donne a credere di essere loro a non poterne fare a meno: essi riuscirono a costruire leggi, costumi, religioni, morale, abitudini, desideri per non lasciare altra strada alle donne che il matrimonio». [Natalia Aspesi, Lui! visto da Lei, Rizzoli Libri]